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Carni: italiani tra i primi 5 produttori Ue, ma consumano poco

E' quanto emerge dal rapporto di Fondazione per la Sostenibilità Digitale

Al Senato, dibattito su digitalizzazione e sostenibilità, grandi opportunità per il settore agro-zootecnico

Oggi in Europa ci sono 9,1 milioni di aziende agricole, di cui 3,2 milioni di aziende sono zootecniche e miste, la produzione agricola complessiva nei Paesi europei ammonta a 537,5 miliardi di euro, di cui 206 miliardi derivanti dalla produzione animale. In Italia, invece, ci sono 166.460 aziende zootecniche (131.110 specializzate nell'allevamento del bovino, 28.550 per il suino e 6.800 per il settore avicolo), per 513.000 addetti (358.000 per il settore bovino, 91.000 per il settore suino e 64.000 per il settore avicolo). In totale il settore zootecnico vale 33 miliardi di euro (11 miliardi per la fase agricola, 22 miliardi per quella industriale).

L'Italia con 3,69 milioni di tonnellate di carne prodotta si colloca al 5° posto in Europa - dopo Germania (7,92 mln/tons) Spagna (7,16 mln/tons), Francia (5,42 mln/tons) e Polonia (5,13 mln/tons) - ma al penultimo posto nei consumi pro-capite di carni con 72 kg di consumo apparente all'anno, a cui corrispondono circa 35,5 kg di consumo reale, considerando solo la parte edibile di carne (al netto di ossa, cartilagini e grasso). E' quanto emerge dal Rapporto "La transizione digitale delle filiere italiane della carne", presentato oggi alla Sala Caduti di Nassirya del Senato, su iniziativa del senatore Antonio De Poli in collaborazione con la Fondazione per la Sostenibilità Digitale.

Gli ultimi dati Istat su innovazione e digitalizzazione – 7º Censimento Generale dell'Agricoltura - tratteggiano una situazione di luci e ombre: in totale poco più del 15% delle aziende zootecniche è digitalizzata, percentuale che sale al 71,6% per quelle più grandi che superano il centinaio di capi adulti. Quello che emerge dal Rapporto della Fondazione è che le filiere della carne, oggi, anche a valle degli investimenti fatti nell'ambito di Industria 4.0 e di quelli affrontabili nel contesto del Pnrr, sono tra quelle che potrebbero trarre maggiori vantaggi da un approccio orientato alla sostenibilità digitale, ma in molti casi ne stanno cogliendo soltanto gli impatti più marginali.

Alla conferenza stampa di presentazione del Rapporto hanno preso parte: Giuseppe Pulina, docente all'Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili: Stefano Epifani, presidente della Fondazione per Sostenibilità Digitale; Angelo Fienga, Director Sustainable Solutions Emea di Cisco; Francesco Frinchillucci, Sales Director di Sas.

Come osservato da Pulina, durante l'era analogica, la filiera agro-zootecnica soffriva di una di "fortissime asimmetrie", mentre oggi, al contrario, la transizione digitale del comparto offre notevoli "vantaggi di natura economica, di equità e di efficienza". "Le aziende agrarie producono molte informazioni, è stato stimato che entro il 2050 produrranno circa 4,1 milioni di punti dati al giorno, ma oggi la quasi totalità va dispersa", sostiene il docente, secondo il quale ci troviamo "agli albori di una nuova rivoluzione quella della trasformazione digitale" e, al contempo, "oggi possiamo ambire a una 'super sostenibilità' dove gli aumenti produttivi sono generati oltre il 100% da informazione e dalla riduzione degli input. In termini termodinamici: il sistema produce di più, consumando di meno".

Da parte sua, Epifani ha puntualizzato su due concetti su cui si tende a fare parecchia confusione: il concetto di "sostenibilità" non ha a che vedere soltanto con il contenimento dell'impatto ambientale ma pertiene al benessere umano e sociale in senso lato. Al tempo stesso, la transizione digitale non va confusa con la digitalizzazione in senso lato: la prima rappresenta un "cambiamento degli obiettivi", mentre la seconda produce un "cambiamento dei processi".

Nel caso specifico del comparto zootecnico, le due "twin transition" (digitale e sostenibile), si integrano in modo indissolubile, tuttavia, ragionare in termini di sostenibilità "comporta da una parte la possibilità di ottimizzare il rapporto di efficienza/efficacia degli allevamenti, dall'altra però il fatto che all'aumento dell'efficienza aumenta anche la complessità per gli attori della filiera. Per gestire questo aumento di complessità servono strumenti digitali". Questi ultimi, sostiene Epifani, rappresentano "una grande opportunità per la sostenibilità economica e sociale degli allevamenti, ma anche uno strumento imprescindibile per migliorarne la sostenibilità ambientale". A corollario di ciò, conclude lo studioso, "gli impatti di tecnologie come l'AI, i Big Data, l'IoT sul benessere animale" vanno considerati "una delle priorità nella costruzione di un ecosistema digitale di filiera realmente sostenibile".

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