La Russia ha perso oltre 1.500 imprese estere in un anno
L'università di Yale monitora le aziende uscite o in uscita: l'Italia ne conta 40 tra cui Ferrero e Barilla
Un anno dopo l'invasione dell'Ucraina viene fatta la conta delle perdite economiche della Russia. La perdita più preoccupante per il Paese è quella delle oltre 1.000 imprese multinazionali globali che sono andate via o stanno andando via dalla Nazione. A misurare il comportamento di oltre mille multinazionali è stata la School of Management di Yale, secondo la quale il 32% delle aziende attive ha adottato forme di ritirata parziali o totali, dal fermo di alcuni business alla cessione di rami d'azienda russi. Parliamo di uscite volontarie di aziende con ricavi equivalenti al 35% del pil russo e che impiegano il 12% della forza lavoro del Paese.
Ebbene, sottolinea lo studio le oltre 1.000 società che hanno scelto volontariamente di abbandonare la Russia in un esodo di massa storico e senza precedenti nelle settimane successive al febbraio 2022, "hanno in gran parte mantenuto fede ai loro impegni e hanno disinvestito completamente o sono in procinto di separarsi completamente dalla Russia senza alcun piano di ritorno".
Per capire bene la situazione che si è venuta a creare Jeffrey Sonnenfeld, economista, docente di Practice of management alla Yale School of Management, a capo dello Yale Research Team ha pubblicato sul sito dell'università il censimento del comportamento delle società in seguito all'invasione dell'Ucraina. Il dossier è aggiornato continuamente e oggi contiene oltre 1.586 imprese. Sono 40 le italiane presenti.
L'elenco è suddiviso in quattro categorie: la prima, chiamata Digging In, cioè di fatto "Resistere", comprende 238 aziende che continuano a svolgere la loro attività in Russia. Qui, le italiane sono 12: spiccano nel settore agroalimentare e affini, Ariston, Cremonini, De Cecco, Perfetti Van Melle. Insieme a loro resistono Benetton, Boggi, Buzzi Unicem, Calzedonia, Diesel, Fenzi, Fondital, e Unicredit. A livello internazionale condividono la categoria con marchi come Auchan, Bonduelle e Lactalis.
Nella seconda categoria, Buying time che potremmo tradurre come "quelle che prendono tempo" ci sono le 170 aziende che hanno deciso di rimandare i futuri investimenti, pur continuando a svolgere la propria attività in loco Tra le italiane ci sono Barilla (ha sospeso tutti i nuovi investimenti e le attività pubblicitarie, limitando la produzione russa a pasta e pane), Campari (prosegue nelle vendite ma ha sospeso i nuovi investimenti), De Longhi, Menarini, oltre a Geox, Giorgio Armani, Intesa-Sanpaolo, Maire Technimont e Saipem. Sono in buona compagnia perché a livello internazionale sono con loro giganti come Bayer, Carlsberg, Domino's pizza, Kraft Heinz, Mars, Mondelez, Nestlé, Red Bull e Unilever.
Terza categoria, Scaling back, ossia "ridimensionamento", che comprende le 148 imprese che stanno riducendo alcune importanti operazioni commerciali ma ne stanno continuando altre. Tra le italiane ecco Ferrero, Indesit, ma anche Luxottica, Pirelli, e Valentino. In campo internazionale ci sono Bacari, Coca Cola, Kellogg's, Pepsi Cola e Whirlpool.
Quarta categoria censita, Suspension, "sospensione" comprende ben 500 aziende che hanno deciso di interrompere temporaneamente la maggior parte o quasi tutte le attività mantenendo aperte le opzioni di ritorno. Tra queste le italiane Diadora, Ferragamo, Ferrari, International Federation of Sport Climbing, Leonardo, Moncler, Prada, Yoox, Zegna Group. Dividono la categoria con altri giganti come Burger King, Danone, Diageo e Richemont.
Infine, quita e ultima categoria, Withdrawal ossia "Ritiro" comprende le 521 aziende che hanno interrotto completamente gli impegni russi o sono uscite completamente dalla Nazione. Tra le italiane c'è Autogrill ma anche Generali, Enel, Eni, Iveco insieme alle estere come Fonterra e Mc Donald's.
EFA News - European Food Agency