Quei caffè parigini, dove lo smart working non è gradito
Chi lavora al bar preclude l'ingresso di altri clienti. C'è anche chi opta per la "tariffa oraria"
Che durante i lockdown pandemici, lo smart working abbia danneggiato il business di bar e caffè è cosa arcinota. Adesso la tendenza è quella a fare smartworking proprio nei locali, tuttavia i titolari dei caffè ancora non sono contenti, anzi, in alcuni casi hanno dovuto prendere provvedimenti drastici e impopolari. E' avvenuto a Parigi e ciò rende il fatto degno di nota, essendo spesso la capitale francese, un'apripista per tendenze che, poco tempo dopo, prenderanno piede altrove e in tutto il mondo. Ebbene, la scelta della maggior parte dei baristi parigini è ormai quella di vietare l'utilizzo dei personal computer, anche solo per pochi minuti.
Chi si mette a lavorare al bar occuperà il tavolino per un tempo esponenzialmente maggiore rispetto a chi ci va semplicemente per uno spuntino o un caffè. Risultato: si impedisce l'accesso a potenziali clienti. Anche ora che lo smart working è una pratica soggetto a "riflusso", le persone che ne usufruiscono sono ancora numerose. Perché, allora, farlo in un bistrot e non a casa propria? Probabilmente, la scelta è motivata dagli eccessivi costi delle utenze (acqua, elettricità e gas): un panino e una bibita al bar sono evidentemente meno costosi di mezza giornata in casa con luce e condizionatori (o, d'inverno, riscaldamenti) accesi.
Ecco allora, che all'ingresso di molti caffè e bistrot parigini è apparso il severo avviso: "Pas d'ordinateur, merci" (nessun computer, grazie). Alcuni impongono il divieto nelle fasce orarie o nei giorni più affollati (pranzo, apericena, weekend). C'è anche chi, come Starbucks, ha introdotto delle tariffe orarie, per cui si paga il tempo di permanenza nel locale e non i prodotti. Un compromesso, in nome degli affari.
EFA News - European Food Agency