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Fake meat, Tonazzo cresce coi finti hamburger

L'azienda padovana supera 80 milioni di fatturato: 50 arrivano dai sostituvi vegetali della carne

Kioene, l'azienda di Villanova di Camposampiero in provincia di Padova, fiore all’occhiello del gruppo Tonazzo, ora a cavallo tra la quarta e la quinta generazione spinge sempre din più l'acceleratore sugli hamburger di soia che garantiscono una performance fuori dal comune. Il gruppo, infatti, si prepara a chiudere il 2023 sopra quota 80 milioni di Euro, contro 74 milioni del 2022: di questi circa 50 milioni si devono agli hamburger vegetali di Kioene.

La storia di Kioene inizia alla fine dell’800 nei mercati del bestiame, tra mandriani e sensali come Vittorio capostipite e bisnonno di Stefano e Albino Tonazzo, fondatori dell'azienda. Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso i Tonazzo erano un esempio solido del sistema dei piccoli macelli: nel 1984 avevano fondato un macello industriale con una capacità di 6-700 capi alla settimana. Un sistema che, però, mostrava la corda e che iniziò a scontrarsi con le grandi società che controllavano l’intera filiera.

Stefano Tonazzo capì che fornire ai clienti tagli specifici e non solo quarti di bestie macellate, poteva essere un successo: i supermercati avrebbero ricevuto così prodotti già pronti, riducendo i costi e le lavorazioni. Per migliorare ulteriormente le performance della loro azienda i fratelli Tonazzo scelsero la via del Brasile e dell’Argentina: di lì a poco la svolta.
"Eravamo a San Paolo, in Brasile, me lo ricordo come fosse ora -spiega Albino Tonazzo riportato da Nordest Economia-. Ci svegliammo prestissimo e partimmo con un nostro fornitore verso i macelli fuori città. Passando per la strada vedemmo una fila interminabile di tir fermi sulla strada. Chiedemmo di cosa si trattava. Era soia, destinata all’alimentazione animale. Fu poco dopo, a cena, che cambiò la mia vita: mi spiegarono che l’energia per produrre una proteina animale era la stessa necessaria per produrre 12 proteine vegetali. Un rapporto assurdo".

Da allora, mentre Stefano perfezionava un modello di business che macinava fatturati e crescita, Albino iniziava un lungo percorso di ricerca: voleva realizzare un prodotto proteico a base interamente vegetale, meno costoso ma più sano per l’ambiente e per l’uomo.

"Cominciai a fare i primi test a casa -spiega il fondatore di Kioene- ma il sapore della soia era troppo forte. Fu con l’ingresso del nostro primo biologo che iniziammo a ottenere risultati interessanti. Puntammo su prodotti interamente vegetali, superando il sapore tipico della soia senza camuffarlo con spezie o altro. I prodotti erano ottimi: la gdo era interessata ma rimanevamo relegati al banco dei congelati, e il nostro obiettivo era quello del fresco". 

"Nel 2010 eravamo pienamente inseriti nella grande distribuzione con i prodotti a marchio Kioene ma il nostro fatturato non si staccava dalla soglia dei 3 milioni di euro -aggiunge-. Nel 2014 mettemmo sul mercato una confezione da 2 hamburger da 200 grammi, totalmente vegetali e il cui gusto era quello del prodotto descritto: melanzane se erano melanzane, funghi se era scritto funghi. Lo piazzammo nel banco del fresco a un prezzo che era il 25% in meno del nostro principale competitor. Fu un successo".

Nel 2017 Kioene fatturava 15 milioni di Euro, 5 volte rispetto a tre anni prima: nel 2019 aveva raggiunto 31 milioni di Euro e si prepara a superare 50 milioni di Euro nel 2023. "Trainati dal successo, già nel 2017, abbiamo investito 28 milioni in un nuovo stabilimento produttivo modernissimo e sostenibile, sempre a Villanova di Camposampiero, e siamo entrati in produzione nel 2019", prosegue Tonazzo.

"La struttura -conclude- ci permette ampi margini di crescita e ottime efficienze produttive. L’inflazione e la crisi dei consumi non ci spaventano, anzi: tutt’oggi vendiamo i nostri hamburger vegetali allo stesso prezzo del lancio, nel 2014 e continuiamo a crescere da leader di mercato".

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EFA News - European Food Agency
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