Premi. Terre del Lambrusco candidate a Wine Region of the Year
Intervista esclusiva con Cecilia Lombardini, del gruppo Giovani del Consorzio di Tutela
Che quello del Lambrusco fosse un mondo in pieno fermento era cosa nota, anche all’estero. A conferma infatti della vivacità delle bollicine emiliane arriva in questi giorni, per le Terre del Lambrusco, la nomination come Wine Region of the Year, nell’ambito dei Wine Enthusiast Wine Star Awards 2023, premio conferito dalla prestigiosa rivista americana Wine Enthusiast.
Una candidatura di peso quella emiliana, in quanto unica realtà italiana tra le cinque candidate (e cioè le quattro zone vitivinicole di Charlottesville in Virginia, Provenza in Francia, Swartland in Sudafrica e Victoria in Australia). La motivazione della nomination? Quella di “produrre alcuni dei vini più intriganti del mondo”.
In un’area che ha visto negli ultimi anni crescere in modo esponenziale, ha sottolineato la rivista, il numero di giovani impegnati nella realizzazione di vini di pregio, lavorando le diverse varietà di uve del territorio. Perseguendo percorsi innovativi. Ed è grazie (in parte) anche alle sue nuove leve che il Lambrusco, in una sorta di rinascimento enoico, ha smesso i panni di “vino dei vecchi” per vestire quelli di prodotto contemporaneo.
“Il cambio di generazione si è rivelato determinante ma mutare rotta, anche in termini di marketing, è stato più difficile che partire da zero”, spiega Cecilia Lombardini, quarta genìa di vitivinicoltori in quel di Novellara con le sorelle Chiara e Virginia e responsabile qualità di Cantine Lombardini, nonché membro del gruppo Giovani del Lambrusco.
“Il prodotto aveva scarse qualità organolettiche e la bollicina rossa, di fatto, sul mercato non esisteva. Il giro di boa? Oltre 10 anni fa. Sono cambiate le tecniche di raccolta, l’elaborazione e i sistemi di fermentazione in cantina, insieme ai macchinari, più evoluti grazie ai progressi tecnologici. Noi stessi abbiamo adottato, unici in Italia, il nuovo sistema di imbottigliamento GAI per vini frizzanti, dotato di una supervalvola elettropneumatica che permette di eliminare l’ossigeno dal collo della bottiglia, preservando il vino dalle ossidazioni e garantendogli maggiore longevità”.
Già, ma quale il ruolo dei giovani? “Abbiamo deciso di metterci la faccia, tutti noi 20/40enni delle varie aziende, andando spiegare alle persone quale sia l’anima vera del Lambrusco, le lavorazioni e le sperimentazioni in atto. Siamo una pattuglia compatta, operante in assoluta sinergia”, continua Lombardini, “che conosce i trend internazionali ed elabora progetti in grado di valorizzare le proprie bollicine, innovandone anche l’immagine”.
Ma, nemo propheta in patria, la riscossa frizzante corre più veloce all’estero, dove nonostante le contrazioni dell’export di vino italiano (vedi Efanews 28/08/2023) “l’umile champagne dell’Emilia Romagna” caro a Mario Soldati continua a impazzare, anche nella mixology.
“Il nostro è un prodotto ancora molto territoriale”, chiarisce Lombardini, “e ogni regione rimane legata ai suoi vini: in questo senso siamo gli ultimi arrivati. Ma stiamo a lavorando anche sulla promozione italiana”. Non a caso è in questi giorni al via “Il Lambrusco e la cucina del Sud”, nuovo tour di cene degustazione che porterà a scoprire, fino al 13 novembre, le infinite sfumature delle bollicine emiliane in sei città del meridione e cioè Napoli, Polignano, Sorrento, Matera, Cagliari e Bagheria.
Perché si fa presto a dire Lambrusco: visto che dall’antica vitis labrusca (che cresce incolta ai margini dei campi) descritta da Plinio il Vecchio deriva una famiglia di 12 vitigni autoctoni a bacca nera, diffusi da tempo immemorabile in tutta l’Emilia-Romagna (e cioè il Sorbara, Grasparossa, Salamino, Foglia Frastagliata, Barghi, Maestri, Marani, Montericco, Oliva, Viadanese, Benetti e Pellegrino).
Che danno vita a ben 8 denominazioni come il Lambrusco Modena DOC, il Sorbara DOC, il Grasparossa di Castelvetro DOC, il Salamino di Santa Croce DOC, il Reggiano DOC, il Colli di Scandiano e di Canossa DOC, oltre al Reno DOC e al Bianco di Castelfranco Emilia IGT.
Tutelate da un unico Consorzio (nato nel 2021 dalla fusione di tre precedenti enti) che raggruppa 70 imprenditori, impegnati su 10.000 ettari, distribuiti tra le province di Modena e Reggio, per dare vita a una produzione attestatasi nel 2022 sui 50 milioni di bottiglie DOC. Che, unitamente ai 115 milioni di bottiglie di Lambrusco Emilia IGT, al 60% prendono ogni anno la via dell’export: diventando così uno dei vini più diffusi al mondo, presente in 90 paesi. Insomma una compagine variegata da declinare al plurale, considerate varietà, diversità di territori e metodi di produzione. Visto che i Lambrusco possono essere frizzanti (oltre il 95% della produzione), secchi, amabili, metodo Ancestrale e più di recente anche Metodo Classico. Nel segno di una bevibilità a tutto pasto.
Fine quindi del trinomio salame-osteria-lambrusco? Assolutamente sì. Del resto negli ultimi anni premi i Lambrusco ne hanno mietuti a dozzine. Lo sanno bene in casa Lombardini (forte di 650mila bottiglie l’anno): dove insieme agli ultimissimi del 2023 (premio qualità prezzo per il Campanone Reggiano DOC Lambrusco Rosso Secco in Berebene del Gambero Rosso) nel 2019 hanno vinto la medaglia d’oro, sempre con il Campanone doc, come miglior vino rosso frizzante al mondo nella Champagne & Sparkling Wine World Championships, la più importante manifestazione internazionale dedicata alle bollicine. Evento quasi epocale, visto che il vino emiliano non aveva mai ricevuto così rilevanti tributi all’estero.
In questa annata 2023, che a dispetto delle avversità climatiche per le bollicine emiliane si profila abbastanza buona, arriva poi la nomination di Wine Enthusiast come regione vinicola dell’anno.
E se le Terre del Lambrusco non dovessero vincere? “Continueremo a batterci per far comprendere a tutti le grandi potenzialità del nostro vino”. Noi non ci arrendiamo mai”, conclude sicura Cecilia Lombardini.
EFA News - European Food Agency