Gli italiani chiedono cibi bio ma sono poco informati
Ricerca della Cattolica: il 40% degli italiani consuma questi prodotti ma non conosce tracciabilità e certificazione
Negli ultimi anni è aumentata la richiesta da parte dei consumatori di cibi biologici. È quanto emerso in occasione del convegno “Il consumo di alimenti biologici e le relative certificazioni: fra innovazione scientifica e aspettative del consumatore” che si è svolto nei giorni scorsi all’Università Cattolica, campus di Cremona nel corso del quale è stato affrontato anche il tema del crescente utilizzo delle nuove tecnologie per tracciare e certificare la filiera agro-alimentare biologica, che può generare ancora di più nel consumatore, già poco informato, una certa diffidenza rispetto al prodotto finale.
Secondo i dati divulgati nel corso del convegno, nell’ultimo mese, il 40% degli italiani ha consumato prodotti di questo tipo almeno tre o quattro volte a settimana; i più amanti del genere sono i giovani (62%), i laureati (47%), e le persone originarie delle regioni del Sud e Isole (48%). In particolare, gli alimenti biologici più consumati dagli italiani sono: le uova fresche (69%), gli ortaggi (66%) e la frutta (62%), scelti poiché considerati salubri, naturali e rispettosi dell’ambiente. È infatti opinione diffusa che i cibi biologici contengano meno pesticidi e siano prodotti con processi che presterebbero una particolare attenzione alla sicurezza. Tuttavia, il consumatore non è poi così preparato rispetto alle certificazioni biologiche e per questo motivo può essere indotto in errore negli acquisti.
Il meeting scientifico nel quale sono state rese note le ultime novità in materia, è nato dal progetto di ricerca “Omic technologies for consumer food engagement: innovazione nella tracciabilità degli alimenti biologici e fiducia del consumatore”, a cura di EngageMinds Hub – Consumer, Food & Health Research Center, e finanziato dall’Università Cattolica tra gli indirizzi di ricerca a interesse strategico e che ha visto la collaborazione interdisciplinare di diverse facoltà e dipartimenti dell’Ateneo.
Il progetto è volto a indagare "la percezione dei consumatori in merito all’idea dell'impiego delle tecnologie omiche a favore della tracciabilità e valutazione nutrizionale delle verdure e della frutta biologiche, richiamando l'attenzione sulle principali implicazioni in termini di salute e sostenibilità di questo tipo di innovazioni".
Le tecnologie omiche sono in grado di valutare se un prodotto alimentare è davvero biologico, andando a considerare alcuni parametri che le certificazioni “tradizionali” non valutano, per esempio come l’alimento viene conservato e trasportato. La tracciabilità degli alimenti, in questo contesto, è considerata uno strumento importante per garantire la qualità e la sicurezza alimentare, caratteristiche che possono influenzare l’acquisto da parte dei consumatori.
Secondo i risultati delle ricerche, gli italiani mostrano una buona conoscenza delle possibili certificazioni biologiche presenti sul mercato identificandole come garanzia di maggiore sicurezza dei cibi. Tuttavia, poco meno della metà (48%) ripone poca fiducia verso gli enti che certificano questi prodotti e verso l’industria italiana che li promuove.
“Dallo studio emerge inoltre che la maggior parte degli italiani (79%) non ha mai sentito parlare delle tecnologie omiche applicate al cibo -spiega Greta Castellini, ricercatrice di Psicologia dei consumi presso la Facoltà di Scienze Agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica-. Dopo aver presentato e spiegato dettagliatamente tali tecnologie e il loro potenziale ai partecipanti dello studio, questi ultimi le hanno considerate interessanti (54%), positive (58%) e non pericolose (55%). Tuttavia, sembrano emergere delle incertezze riguardo alla necessità di introdurre queste nuove tecnologie alimentari”.
Infatti, il 43% ritiene che l’utilizzo delle tecnologie omiche possa essere evitato in quanto non necessario ai fini della certificazione biologica di un alimento. In media, il campione dell’indagine ha affermato di essere disposto a pagare circa il 9% in più per gli ortaggi certificati con tecnologie omiche rispetto a quelli non certificati con tali tecnologie.
“A oggi le certificazioni a supporto sono principalmente cartacee, e quindi più facilmente soggette a frodi: si auspica quindi il ricorso nei prossimi anni a queste nuove tecnologie omiche, quantomeno in un’ottica di verifiche a campione”, sottolinea Luigi Lucini, docente di Chimica agraria alla Facoltà di Scienze Agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica
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