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Mazzini (Coop): “I rischi dell’alimentare, dal clima all’inverno demografico”

In esclusiva a EFA News, uno dei relatori al convegno promosso da Dss+ (Bologna, 20 maggio 2024)

Il rischio climatico è un tema con cui bisogna convivere e per cui, al tempo stesso, bisogna costantemente cercare soluzioni concrete. Il risvolto agroalimentare della problematica è stato affrontato in esclusiva con EFA News da Claudio Mazzini, responsabile Freschissimi Coop Italia. Il manager sarà uno dei relatori al convegno convegno "Resilienza Agroalimentare come costruire la strada verso il cibo perfetto" (Bologna, 20 maggio 2024, ore 09:30-16:00), promosso da Dss+ (la partecipazione è gratuita fino a esaurimento posti. Per iscriversi cliccare su questo link).

Nello specifico, cosa vuol dire parlare di rischio climatico nell'agroalimentare?

L'evento organizzato da Dss+ è un'opportunità perché, per la prima volta, si comincia a parlare non tanto del fatto se esista o meno il cambiamento climatico ma quali sono gli effetti pratici e quali sono le azioni da mettere in campo per poterlo gestire dal punto di vista anche economico. Credo che sia proprio questa la grande novità, visto che il 2023 è stato certamente un anno emblematico dal punto di vista produttivo: storicamente il clima ha sempre avuto effetti sulle produzioni agricole primarie e, di conseguenza, su tutta la filiera ma normalmente colpiva una o due categorie. Lo scorso anno le ha colpite praticamente tutte, anche con effetti inflattivi nuovi, al punto che, per la prima volta si comincia a parlare di inflazione legata al clima. Quindi il confronto che terremo è molto interessante, perché vi sono una serie di nuove metodologie e soprattutto di nuovi modi di approcciarsi al problema, che diventeranno assolutamente indispensabili per continuare a fare agribusiness.

Ci sarà un problema reale e concreto, anche a breve termine, nei nostri mondi occidentali, di food security, cioè di capacità di accesso sicuro al cibo?

Purtroppo credo assolutamente di sì. Riporto un caso che citerà anche il giorno dell'evento: in Sicilia non piove in maniera significativa dall'8 giugno 2023. Le proiezioni affermano che a ottobre Palermo dovrebbe rimanere senza acqua potabile. La Sicilia produce il 17% di quello che consumiamo in Italia. Capite bene, allora, che spostare le produzioni siciliane, con tutto il rispetto, non è come spostare una fabbrica di automobili.

Dal lato dei consumatori, si riscontra una percezione di questo problema? 

La percezione è legata, come sempre, al momento di picco, all'evento estremo. Tutti ricordano l'alluvione dello scorso anno, ma già il fatto che quella stessa alluvione sia stata preceduta da un periodo di lunghissima siccità e di gelate che hanno compromesso le produzioni e che poi l'estate sia stata una delle più siccitose di sempre, probabilmente è qualcosa di cui non ci si ricorda. In altre parole: la gente si ricorda dell'evento estremo che va sui media ma non del cambiamento quotidiano. E' un po' come l'apologo della rana bollita: pian piano ci si abitua all'aumentare della temperatura, fino al momento in cui non si finisce bolliti. Ecco, io credo che i cittadini, i consumatori si stiano abituando a questo cambiamento che, purtroppo, rischia di essere lineare.

Altra tematica rilevante, forse meno percepita nell'opinione pubblica, è il diffuso e ampio calo demografico occidentale europeo e, in particolare, italiano. Che impatto potrà avere questo fenomeno?

Anche di questo faremo un accenno perché è connesso al tema del cambiamento climatico. L'Italia, secondo le stime più pessimistiche, è a rischio di scendere sotto i 40 milioni di abitanti nel giro di 50 anni, quindi ha una necessità ormai endemica e strutturale di manodopera che non è possibile reperire in Italia. Oltre il 50% di quello che è "Made in Italy" passa per mani non italiane lungo il processo e lungo la filiera. Anche questo è un argomento che, in termini di analisi del rischio, va assolutamente messo sul tavolo, al pari del cambiamento climatico. Parlando con alcuni operatori di prodotti agricoli, emerge che non fanno più le programmazioni in base al mercato potenziale ma in base alla disponibilità di manodopera. Ciò rappresenta un'assoluta novità degli ultimi due anni, che prima non esisteva: in precedenza, si facevano le programmazioni di quanti ortaggi si sarebbe riusciti a vendere, non di quanti si sarebbe riusciti a raccoglierne.

C'è anche, in prospettiva, un tema di calo di consumatori e, quindi, di consumi. Per chi, come voi, lavora nella grande distribuzione che cosa comporterà?

Non è detto che i nuovi italiani abbiano gli stessi gusti e le stesse abitudini alimentari di quelli precedenti. Quindi, questo è uno dei temi più rilevanti: è evidente che i consumi sono destinati a calare perché calerà la popolazione e non sarà sostituita con la stessa quantità di cittadini, quindi è evidente che la la pancia del mercato nel giro di 10-15 anni comincerà ad assottigliarsi in maniera vistosa. Pertanto questo è certamente uno degli elementi dell'analisi del rischio.

Dal punto di vista, invece, della sicurezza alimentare, dal lato salute, benessere e salubrità dei beni alimentari, ci sono rischi nuovi rispetto al passato?

Negli ultimi trent'anni si è lavorato con un'intensità e con un'unità di intenti normativi che probabilmente, sia a livello europeo, sia a livello internazionale, non ha precedenti. Se pensiamo a tutte le nuove normative sul tema della sicurezza alimentare, del benessere animale, della riduzione della chimica, se si fosse investito altrettanta energia nel cambiamento climatico, forse oggi parleremmo diversamente. Quindi, su questo non intravedo particolari problemi. Gli standard sono tutti molto alti e molto omogenei, per fortuna.

C'è poi un problema sociale legato al caporalato e alla sicurezza. Ha commenti su questo?

Io credo che, o ci sbrighiamo a gestire flussi di di manodopera per poter continuare a produrre beni non solo primari o rischiamo di andare in una crisi veramente molto profonda Poi è evidente che questo comporta una capacità di adattare le attività a nuove persone che operano e che hanno storie, tradizioni, culture e religioni differenti. Quindi, è fuori discussione che tutto questo aumenta la complessità: è impensabile immaginare che tutti possano adattarsi a un'unica cultura, a un'unica religione, a un unico modello di vita. Chiunque abbia la fortuna di recarsi in qualche capitale europea percepisce quale sia il futuro. La questione va gestita molto bene ed è un tema molto, molto complesso. Usare semplificazioni non risolve nessun tipo di problema.

Guarda il video:

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EFA News - European Food Agency
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