Gli Usa contro il latte non pastorizzato
Aumentano i timori che possa trasmettere l'aviaria: esperimenti su topi in laboratorio
Il consumo di latte non pastorizzato non è sicuro per gli esseri umani. Lo attesta uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine: lo studio è stato realizzato dai ricercatori dell'Università del Wisconsin-Madison e dal Texas A&M Veterinary medical diagnostic laboratory ed è stato finanziato dal National institute of allergy and infectious diseases, parte del National institutes of health statunitense.
Lo studio ha creato allarme soprattutto negli Stati Uniti dove un'indagine a livello nazionale sul latte pastorizzato, riscaldato per uccidere gli agenti patogeni, ha trovato particelle di virus dell'influenza aviaria in circa il 20% dei campioni analizzati. Sia chiaro, dicono gli esperti: la maggior parte del latte statunitense è pastorizzato ma 30 Stati consentono la vendita anche di latte crudo, che rappresenta meno dell'1% delle vendite a livello nazionale.
Nello studio, i ricercatori hanno somministrato alcune gocce di latte crudo proveniente da bovini da latte infetti a cinque topi. Ebbene secondo i risultati della ricerca, gli animali da laboratorio hanno mostrato segni della malattia soprattutto il primo giorno con una preoccupante letargia. I ricercatori hanno identificato alti livelli di virus nei passaggi nasali, nella trachea e nei polmoni degli animali e livelli da moderati a bassi di virus in altri organi, coerentemente con le infezioni da influenza aviaria riscontrate in altri mammiferi.
Lo studio ha anche rilevato che i livelli del virus dell'influenza aviaria sono diminuiti lentamente nel latte crudo conservato a temperature di refrigerazione. In base ai risultati dello studio, la Food and drug administration statunitense ha sconsigliato di bere latte crudo e i funzionari statunitensi hanno chiesto alle aziende lattiero-casearie di pastorizzare il latte che viene scartato.
Quella dell'influenza aviaria è un allarme che negli Stati Uniti sta assumendo portata sempre più preoccupante. La scorsa settimana i funzionari statunitensi hanno dichiarato che è stata confermata una seconda infezione umana in un lavoratore del settore lattiero-caseario del Michigan, dopo che il virus dell'influenza aviaria era stato individuato per la prima volta nei bovini da latte a fine marzo. I sintomi di entrambi i lavoratori erano limitati alla congiuntivite, o occhio rosa.
Un paio di settimane fa uno studio della rivista Nature ha portato in prima pagina il fatto che, sebbene, per la maggior parte delle mucche, il virus H5N1, uno dei ceppi di aviaria, non sia letale né pericoloso, non c'è alcuna prova che esso non possa trasmettersi all'uomo e ad altre specie viventi, primi fra tutti i bovini (vedi articolo EFA News).
EFA News - European Food Agency