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L'inattività fisica costa 1 miliardo di euro l'anno all'Italia

Aletheia: entro il 2030 potrebbe generare globalmente 500 milioni di nuovi casi di malattie

L'inattività fisica costa 1 miliardo di Euro all'anno per l'Italia e a livello globale potrebbe generare entro il 2030 circa 500 milioni di nuovi casi di malattie non trasmissibili ma prevenibili, con costi di trattamento a livello globale che potrebbero superare 300 miliardi di Euro. È quanto emerge dal rapporto presentato oggi al Senato dalla Fondazione Aletheia, primo think tank scientifico italiano dedicato all'educazione alimentare, dal titolo "Cibo e Sport: buona alimentazione e attività fisica, un connubio perfetto per la salute".

L'analisi della Fondazione Aletheia pone l'attenzione su una serie di malattie croniche non trasmissibili, prevenibili attraverso una corretta alimentazione e un'attività fisica regolare. L'inattività fisica continua a rappresentare, infatti, una delle principali sfide per la salute pubblica, con impatti diretti non solo sul benessere individuale, ma anche sui sistemi sanitari globali. Alla presenza del ministro della Salute Orazio Schillaci e del ministro per lo Sport e giovani Andrea Abodi, la Fondazione guidata dal presidente Stefano Lucchini e dal direttore Riccardo Fargione ha illustrato in anteprima i risultati di una ricerca coordinata dal comitato scientifico della Fondazione, presieduto da Antonio Gasbarrini. Lo studio è stato realizzato con il patrocinio del Senato della Repubblica, del ministero della Salute e dal ministero per lo Sport e i giovani.

L'impatto economico delle abitudini alimentari 

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'inattività fisica è un fenomeno in aumento a livello globale, con la percentuale di persone inattive salita dal 26% nel 2010 al 31% nel 2020. Se la tendenza non si invertirà, si stima una ulteriore crescita entro il 2030 con un'incidenza della popolazione inattiva che potrebbe toccare il 35% della popolazione mondiale. Chi non pratica attività fisica regolare presenta un rischio maggiore compreso tra il 20% e il 30% di sviluppare patologie croniche, con un impatto diretto sui sistemi sanitari. L'inattività fisica potrebbe generare nel decennio 2020-2030 circa 500 milioni di nuovi casi di malattie non trasmissibili prevenibili, con costi di trattamento a livello globale pari a 300 miliardi di Euro. 

Italia sul banco degli imputati

Per l'Italia l'inattività fisica, come abbiamo detto, costa 1 miliardo di Euro l'anno per la cura di malattie non trasmissibili e per la salute mentale, con la Penisola che si colloca al secondo posto in Ue per costi derivanti l'inattività fisica subito dopo la Germania, dove l'inattività fisica costa allo Stato 2,8 miliardi di Euro, e prima di Francia (932 milioni di Euro) e Spagna (446 milioni di Euro). In Italia, parliamo di un costo per ogni cittadino di 17 Euro l'anno imputabile solo alla mancanza di attività fisica adeguata e regolare. Peggio solo la Germania con 34 Euro pro-capite/anno e il Portogallo con 22 Euro pro-capite/anno. 

In Italia, il Rapporto Annuale Istat 2024 evidenzia un miglioramento nella pratica dell'attività fisica. Negli ultimi vent'anni, la percentuale di adulti inattivi è scesa dal 39,5% al 31,5%, con aumenti significativi nella pratica sportiva tra giovani e anziani. La fascia 16-24 anni ha registrato un incremento, passando dal 54,2% del 2003 al 57,7% del 2023, mentre tra gli over 65 si è assistito a una crescita che ha visto raddoppiare i praticanti, dal 6,7% al 16,4%. 

Differenze nell'alimentazione

L'indagine evidenzia tuttavia differenze marcate nelle scelte alimentari. I giovani consumano più snack, piatti pronti e bevande energetiche (fino a 2,5 volte a settimana), mentre gli over 65 limitano tali prodotti fino a 6 volte in meno. Tuttavia, nessuna fascia d'età raggiunge pienamente le raccomandazioni di consumo giornaliero di frutta e verdura, con solo l'8,5% degli intervistati che dichiara di consumarne le cinque porzioni consigliate. Il consumo di integratori alimentari è diffuso, con il 43% degli intervistati che ha utilizzato integratori vitaminici negli ultimi sei mesi e il 30% che ha scelto sali minerali o altri integratori. 

I giovani (25-34 anni) sono i principali consumatori di integratori vitaminici (59%) e proteici (30%), rispetto al 29% e al 13% degli over 65. Interessante, inoltre, l'approccio agli integratori naturali, con i più anziani che li prediligono (80%) rispetto a quelli sintetici (5%). Situazione diversa invece per i più giovani che mostrano un'apertura maggiore verso gli integratori di sintesi (23%).

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EFA News - European Food Agency
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