Guerre e crisi climatica impongono ad Atlante nuova supply chain
Il gruppo bolognese di import-export alimentare a punta a Oriente
Il gruppo Atlante, uno dei leader italiani nell'import export di generi alimentari nel mondo, ha deciso di ridisegnare il traffico della sua supply chain puntando a crescere in Estremo Oriente, soprattutto in Giappone e Corea. La prossima meta, quella più vicina almeno come tempistiche è la Cina puntando sulla logistica ferroviaria. Lo ha detto la ceo dell'azienda di Casalecchio di Reno (Bologna) Natasha Linhart in un'intervista al Sole 24 Ore.
"La guerra in Ucraina e nell'area mediorientale, abbinata a barriere commerciali e protezionistiche sempre più spinte, stanno minando rotte e supply chain consolidate imponendoci di elaborare nuove strategie e ripensare traffici e sistemi di stoccaggio per evitare rotture di stock", sottolinea la manager.
Atlante è la piattaforma leader nell'approvvigionamento di referenze estere importate in Italia: partendo negli anni '90 con le bevande di soia e le alternative vegetali alla carne, l'azienda bolognese ha aggiunto al portafoglio eccellenze made in Italy esportate da Canada al Sudafrica. "Attualmente commercializziamo 2.000 referenze, un numero praticamente raddoppiato nel giro di 5 anni così come è raddoppiato il fatturato quasi per metà legato all'export", spiega la fondatrice del gruppo che chiuderà il 2024 superando quota 208 milioni di Euro di fatturato, il 12% in più anno su anno e ha un obietivo 2026 fissato a 360 milioni di Euro. Nel portafoglio clienti di Atlante c'è tutta la gdo italiana ma anche il gruppo svizzero Migros (socio al 20%), oltre a insegne blasonate straniere come Sainsbury's in Gran Bretagna, Aeon in Giappone, Kroger negli Stati Uniti e Fruitsy in India.
"Lavoriamo da 30 anni con la gdo italiana e con le più importanti catene di distribuzione internazionali garantendo la disponibilità ottimale dei prodotti alimentari sugli scaffali -sottolinea Linhart-. Mai come oggi soffriamo le difficoltà nel gestire le rotte commerciali e la supply chain per livelli di problematicità logistiche e di instabilità geopolitiche mai raggiunti prima".
"Siamo alle prese -prosegue Linhart- con tempo e costi di trasporto via mare ormai fuori controllo. Il costo dei noli negli ultimi 2 anni è passato da 2 mila Euro a container da Shanghai a Genova a 12 mila Euro per poi riposizionarsi ora tra 3 e 4 mila Euro con il rischio di nuovi rialzi e un allungamento dei tempi di consegna di 4 settimane per via della non percorribilità del Canale di Suez. Anche il costo del denaro rappresenta un problema per le aziende in quanto il valore della merce in transito o in stock deve inevitabilmente aumentare".
Non c'è solo il Canale di Suez a creare problemi alla supply chain. Suez filtra il 40% delle merci dirette in Europa, ma il collo di bottiglia in questo momento è rappresentato anche dal Canale di Panama in America Centrale, dallo stretto di Hormuz fra Golfo Persico e Golfo di Oman, dallo stretto di Malacca nel sudest asiatico, dallo stretto di Gibilterra, dall'area del Bosforo e dei Dardanelli, dallo stretto di Bab-el-Mandeb (tra il Golfo di Aden e l'Oceano indiano) dal Capo di Buona Speranza e anche dal Canale di Sicilia. A questo va aggiunto che per commodities come pomodoro e pasta i produttori italiani sono sempre meno competitivi perché la produzione caucasica (Kazakhstan e Uzbekistan, per esempio) offre ottima qualità e, dal punto di vista logistico, ha una competitività senza pari visto che può viaggiare via terra sfruttando l'antica via della Seta centrale.
"Come se non bastasse la fragilità delle rotte commerciali compromesse dalle guerre alle porte dell'Europa e dagli attacchi degli Houthi -aggiunge Linhart- c'è il cambiamento climatico a complicare lo scenario con fluttuazioni della disponibilità di materie prime e quindi dei costi, che hanno impattato colture in tutto il mondo e commodities primarie come caffè, cacao, frutta verdura, olio".
EFA News - European Food Agency