Dazi Usa/3. I rischi per le economie europee
Report Nomura: negli ultimi anni l'Ue ha fornito la maggior parte delle importazioni di beni agli Usa ma il presidente vuole "punirla"

Da domani, 4 marzo entrano in vigore i dazi di Trump, almeno per quanto riguarda Canada e Messico. La prossima mossa del presidente Usa potrebbe riguardare l'Ue attesa a dazi del 10% o più probabilmente del 25%. Come sottolinea l'ultimo report di Nomura sulla questione, "la mancanza di dettagli o di una formula per le tariffe reciproche solleva il rischio di ulteriori ritardi nell'attuazione".
Se gli Stati Uniti dovessero imporre dazi del 10% sulle importazioni globali comprese quelle dall'Europa, come inizialmente suggerito da Trump Nomura ipotizza che "ciò comporterebbe una riduzione di 0,2-0,3 punti percentuali dell'area Euro. Non c'è ancora un calcolo preciso su eventuali tariffe al 25%. "Tuttavia -aggiunge il report-, vi sono notevoli incertezze che circondano qualsiasi stima, tenendo conto non solo dei molteplici canali attraverso i quali le tariffe possono influenzare le economie, ma anche l'incertezza delle azioni di Trump e della successiva risposta dell'Europa". Inoltre, secondo il report, le tariffe reciproche del presidente Usa (che includono barriere non tariffarie, sussidi, imposte sul valore aggiunto e manipolazione dei tassi di cambio), potrebbero comportare il rischio di un effetto più ampio. "In breve -sostiene Nomura-, a prescindere dalla risposta delle imprese europee ai dazi, prevediamo che l'impatto sulle economie europee sarà negativo".
A bocce ferme, il problema si ribalta sulle aliquote iva dell'Ue comprese tra il 15% e il 25%. I dati della Banca Mondiale mostrano che le tariffe effettive imposte dagli Stati Uniti sulle importazioni dall'Europa sono generalmente più alte di quelle imposte dall'Europa sulle importazioni dagli Stati Uniti.
Trump si è scagliato in particolare contro le automobili, settore in cui gli Stati Uniti hanno una tariffa del 2,5% mentre l'Ue impone alle importazioni statunitensi un dazio del 10%, e i prodotti alimentari, i cui dazi dell'Ue sono il 3,5% più alti rispetto alla controparte statunitense. Per l'Europa, le lamentele di Trump sono in gran parte legate al surplus commerciale dell'Ur con gli Stati Uniti: “Non prendono le nostre auto, non prendono i nostri prodotti agricoli, non prendono quasi nulla e noi prendiamo tutto da loro. Milioni di automobili, enormi quantità di cibo e prodotti agricoli”, ha ribadito più volte il presidente degli Stati Uniti.
Le tariffe, sottolinea Nomura, potrebbero rivelarsi un'efficace merce di scambio per costringere l'Europa a muoversi in materia di difesa. A gennaio, Trump ha suggerito che l'impegno di spesa della Nato dovrebbe essere pari al 5% del pil, molto di più di quanto qualsiasi paese (compresi gli Stati Uniti) spenda attualmente per la difesa. Una richiesta che non sta cadendo nel vuoto: nei giorni scorsi, la premier Meloni ha deciso che l'Italia alzerà la spesa al 2,5% del pil per rispettare le richieste Nato e Usa.
Ma Trump potrebbe anche usare i dazi come merce di scambio per il risanamento e la ricostruzione dell'Ucraina; potrebbe sostenere che le aziende statunitensi dovrebbero raccogliere le spese dall'Europa, a causa del sostegno finanziario e militare che gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina fino ad oggi e del fatto che Trump avrebbe mediato l'accordo di pace, cosa che l'Europa non ha fatto dal febbraio 2022. Sebbene non sia una conseguenza diretta delle tariffe, sottolinea il report di Nomura, "la fine della guerra in Ucraina potrebbe essere una conseguenza diretta della presidenza Trump e questo potrebbe portare alla necessità che l'Europa aumenti la spesa fiscale e a una crescita economica più forte grazie all'opera di ricostruzione. Coinvolgendo le imprese statunitensi nel progetto di ricostruzione, l'Europa potrebbe anche contribuire a placare gli Stati Uniti quando si tratta di limitare le tariffe doganali".
Quanto è esposta l'Ue nel commercio con gli Stati Uniti?
Trump, spiega il report di Nomura, sembra concentrarsi soprattutto sull'entità assoluta delle importazioni di merci negli Stati Uniti. Non è stato detto nulla sulle importazioni di servizi, presumibilmente perché sono meno evidenti, meno commerciabili e più difficili da tariffare. In media, nei tre anni fino al 2023, l'Ue, la Cina, il Messico e il Canada (in questo ordine) hanno fornito la maggior parte delle importazioni di beni agli Stati Uniti. "Il fatto che l'Ue sia al primo posto illustra la frustrazione di Trump nei confronti del blocco europeo", sottolinea il report.
"La risposta dell'Europa al presidente Usa -prosegue il report- sarà importante per determinare l'impatto finale delle tariffe sull'area Euro, sia sull'inflazione (attraverso l'effetto delle tariffe sui prezzi delle importazioni) che sulla crescita economica (attraverso l'effetto sulle importazioni europee nonché l'effetto iniziale sulle esportazioni). All'interno dell'area Euro, secondo Nomura, "tra i quattro grandi, Germania e Italia sono più esposte di Francia e Spagna".
In che modo i dazi potrebbero influire sull'inflazione europea?
L'impatto delle tariffe statunitensi sull'inflazione europea è più difficile da valutare. Resta il fatto che, secondo Nomura, "l'impatto delle ritorsioni europee sarebbe meno significativo per l'inflazione europea rispetto a quella statunitense, dal momento che l'Europa ha imposto dazi su un unico singolo paese (cioè gli Stati Uniti), mentre gli Stati Uniti impongono tariffe a molti dei loro partner commerciali". Inoltre, sottolinea il report, "il potere di determinazione dei prezzi delle imprese manifatturiere europee è così ridotto che probabilmente dovranno assorbire una parte dei costi più elevati, scaricando il resto sui consumatori: di conseguenza, l'impatto inflazionistico sarà probabilmente limitato".
EFA News - European Food Agency