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CLARA MOSCHINI

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L'Italia è affamata di riso

Dal mercato la richiesta di più coltivazione per evitare di perdere egemonia in Ue

L'Italia fa i conti con il riso, soprattutto per evitare che diventi necessario importarlo dando qualche vantaggio ai competitor esteri. La questione è venuta fuori in tutta la sua attualità durante il convegno che si è tenuto presso il Centro Ricerche Riso dell’Ente nazionale risi, alla presenza in sala di oltre 250 risicoltori. Il timore è quello che molti agricoltori, impauriti dalle prospettive future, possano abbandona il riso per passare ad altre coltivazioni ritenute più interessanti e remunerative: mais, soia o girasoli in primis. 

Per rispondere alla crescente domanda di riso, l’appello lanciato dall’Airi, l’Associazione delle industrie risiere e dal suo presidente Mario Francese, è passare a 250.000 ettari di aree coltivate, un dato raggiunto solo nel 2011. 

D'altra parte, i consumi di riso in Italia e nell’Ue sono in aumento. Secondo i dati Ente Risi, dal 2012 al 2022 sono cresciuti del 34% e continuano a venire soddisfatti con il prodotto nazionale, coltivato nelle nostre provincie risicole, salvo un consumo crescente degli ultimi anni di riso basmati. Nello stesso periodo, secondo Dg Agri, il consumo nell'Ue è aumentato circa del 20%: le industrie italiane hanno mantenuto i volumi verso l’Europa, ma non hanno potuto avvantaggiarsi dell’aumento dei consumi comunitari. 

"Se i dati parlano, per il riso italiano, di uno spazio di mercato in progressiva crescita questo spazio va conquistato garantendo un’adeguata produzione di materia prima e prezzi al consumo che evitino rischi di contrazione -spiega il presidente Airi, Francese-. La tendenza positiva dei consumi rischia però di frenare, come in parte sta avvenendo quest’anno, a causa di prezzi al consumo elevati. Dobbiamo stare attenti a non disabituare il consumatore al riso nazionale e a non metterlo nelle condizioni di scegliere prodotti alternativi”.

Oggi l’industria nazionale colloca il 38% della sua produzione nel nostro Paese, il 47% in Europa e il 15% nel resto del mondo: per soddisfare il mercato unico europeo le industrie italiane hanno bisogno che se ne coltivi di più per evitare di perdere egemonia cedendo quote di mercato a vantaggio del riso d’importazione che arriva nei porti del nord Europa. 

Una maggiore coltivazione nostrana è necessaria, anche contando che quest’anno la produzione interna è diminuita a causa della siccità, che ha reso improduttivi 26 mila ettari concentrati in Lomellina e nel Basso novarese, e di una minor semina, con 9 mila ettari in meno.

La crescita dell’inflazione ha interessato soprattutto i prodotti energetici e alimentari: il riso, secondo i dati Istat, ha subito una variazione di prezzo al consumo di +35,3% da novembre 2021 a novembre 2022, distinguendosi tra tutti i prodotti alimentari come quello che ha subito il maggior aumento di costo sul punto vendita.

Le ricerche pubbliche, dell'Ente nazionale risi, che private, di Basf, hanno confermato l’interesse a investire nel settore, per rispondere alla forte richiesta soprattutto europea di sostenibilità. Per fare gli sforzi richiesti dall’industria, però, è necessario un maggior coordinamento degli enti preposti alla gestione della risorsa idrica e sono necessari investimenti nel medio periodo in infrastrutture per salvaguardare questo bene che sarà sempre più prezioso nel prossimo futuro. 

La risicoltura può fare la sua parte con un maggior ricorso alla sommersione delle risaie anche nel periodo invernale in modo da contribuire al caricamento delle falde freatiche, evitando di perdere acqua che altrimenti se ne andrebbe velocemente al mare.

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EFA News - European Food Agency
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