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CLARA MOSCHINI

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Uber Eats chiude con l'Italia

Tre anni fa era stata commissariata per ipotesi di caporalato

Travagliata la storia di Uber Eats in Italia. Con una iniziativa della magistratura senza precedenti, la filiale italiana dedicata al food delivery era finita in amministrazione giudiziaria nel 2020 per disposizione del tribunale di Milano. Alla società era stato contestato il reato previsto dall'articolo 603bis del codice penale, ossia la "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro" per la gestione dei fattorini. In nove mesi di commissariamento - revocato a marzo 2021 - gli amministratori giudiziari hanno accompagnato la società nel suo percorso di rientro nella legalità della gestione dei rider e di creazione di un modello di controllo in linea con le norme della legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti per i reati commessi dai suoi dipendenti.

Ma le cose non devono essere andate per il verso giusto e la società ha deciso di chiudere baracca e burattini.

"Siamo tristi di annunciare che abbiamo preso la difficile decisione di interrompere le nostre operazioni di consegna di cibo in Italia tramite l’app Uber Eats". È questo il succo del comunicato pubblicato sul proprio sito web con cui l'azienda, che ha iniziato il delivery in Italia nel 2016, ha deciso oggi di chiudere l'attività nel nostro Paese. "In questi anni, purtroppo -aggiunge la nota-, non siamo cresciuti in linea con le nostre aspettative per garantire un business sostenibile nel lungo periodo".

"Nel corso di questi sette anni -prosegue il comunicato- abbiamo raggiunto oltre 60 città in tutte le regioni italiane, lavorando con migliaia di ristoranti partner che hanno potuto beneficiare dei nostri servizi per ampliare la loro clientela e le loro opportunità di business, specie in periodi critici come quello dovuto al covid. In questi sette anni migliaia di corrieri e delivery partner hanno avuto la possibilità di guadagnare attraverso la nostra app in modo facile e immediato".

"Il nostro obiettivo principale -dice ancora l'azienda- è ora quello di fare il possibile per i nostri dipendenti, in conformità con le leggi vigenti, assicurando al contempo una transizione senza problemi per tutti i nostri ristoranti ed i corrieri che utilizzano la nostra piattaforma".

"Nonostante questa difficile decisione vogliamo ribadire il nostro impegno verso l’Italia che non intendiamo assolutamente abbandonare:-sottolinea la nota di Uber Eats-. Questa decisione ci consentirà di concentrarci ancora di più sui nostri servizi di mobilità, dove stiamo registrando una crescita importante". 

La notizia ha colto di sorpresa i sindacati che si sono schierati subito dalla parte dei lavoratori, di fatto abbandonati a sé stessi, a quanto sembra in concreto. “Chi lavorava per Uber -spiega in una nota la segretaria confederale della Cgil Francesca Re David-si ritroverà in grave difficoltà, con la perdita dell'occupazione e del reddito. I lavoratori inquadrati come collaboratori occasionali e a partita iva, che sono la forza lavoro utilizzata per la consegna del cibo, pur perdendo l’attività lavorativa non avranno diritto agli ammortizzatori sociali né ad alcun sostegno pubblico per un’eventuale ricollocazione”.

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EFA News - European Food Agency
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