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CLARA MOSCHINI

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Nasce in Puglia la bioraffineria del fico d'india

Accordo tra Sebigas e la startup Waconda per produrre energia elettrica e fertilizzante

Sebigas, azienda specializzata nella progettazione e realizzazione di impianti di biogas e biometano, ha firmato un contratto con Wakonda S.p.a., startup agricola innovativa del leccese. L'obiettivo è la realizzazione di un impianto biogas alimentato con le pale di Opuntia, cioè del fico d’india, e di altri sottoprodotti agricoli, per la produzione di energia elettrica e termica e di fertilizzante organico di alta qualità. Il progetto Wakonda è stato avviato su terreni precedentemente colpiti dalla piaga della Xylella e non più coltivati dai precedenti proprietari. Sono terreni non idonei a coltivazioni nobili che, come tanti altri in Puglia e in generale nel meridione, corrono il rischio di rimanere incolti ed abbandonati. L’impianto biogas sarà alimentato con i cladodi, cioè le pale del fico d’india, sansa di olive, vinacce, siero dilatte e pollina, per un totale complessivo annuo di circa 16.000 tonnellate.

Sebigas seguirà il cliente nel ruolo di technology provider, occupandosi della progettazione e della realizzazione degli impianti tecnologici. L’impianto avrà una potenza installata di 300 kW: l’energia elettrica prodotta sarà ceduta alla rete, il calore sarà completamente utilizzato nei cicli di produzione di Wakonda mentre il digestato, ricco di sostanze nutritive, verrà utilizzato come fertilizzante per i terreni circostanti. Una volta in funzione, il nuovo impianto per Wakonda eviterà l’immissione in atmosfera piùdi 11.000 tonnellate di CO2 ogni anno. 

Sottolinea Roberto Salmaso, general manager di Sebigas: "Veder concretizzarsi questo impianto è motivo di orgoglio e spinta verso lo sviluppo di altre innovazioni nel settore del biogas/biometano sempre con l’obiettivo di differenziarci sia in Italia che all’estero“. “La progettazione di un impianto principalmente alimentato con il cladodio, è stato per noi di Sebigas occasione per dimostrare la grande flessibilità e adattabilità delle nostre soluzioni tecnologiche -aggiunge il project and product manager di Sebigas Federico Torretta-. Abbiamo lavorato per trovare una configurazione semplice ma che potesse risultare efficiente e garantire la massimizzazione del potenziale energetico dell’opuntia. Inoltre, in fase di progettazione, abbiamo dovuto considerare la possibilità di variazioni nella ricetta, nello specifico l’utilizzo di sottoprodotti raccolti nel territorio, quali la sansa di olive o le vinacce”.

Ai due fa eco Andrea Ortenzi, ceo e founder di Wakonda, “la nostra tecnica di coltivazione e di trasformazione del fico d’india vuole essere un modello aperto di sviluppo, anche dal punto di vista paesaggistico ed ambientale, che consentirà di recuperare molti dei terreni rimasti improduttivi a seguito della piaga della Xylella. Modello aperto alla coltivazione dell’Opuntia anche da parte di altri coltivatori locali, con i quali vogliamo rapportarci per offrire una opportunità di crescita e di lavoro". "Confidiamo che questo con Sebigas -prosegue Ortenzi- sia il primo di una serie di progetti che sono possibili anche grazie alle importanti novità legislative che cercano di coniugare efficienza agricola e produzione di energie rinnovabili, in particolare con il cosiddetto decreto Biometano. Auspichiamo di poter mettere in opera nei prossimi anni progetti di Biometano agricolo, anche grazie a una interlocuzione propositiva con le amministrazioni locali, molto sensibili su queste tematiche”.

La coltivazione dell’opuntia presenta molteplici vantaggi: è una pianta che può essere lavorata e coltivata anche in terreni aridi: basti pensare che rispetto al mais, sono necessarie 10 volte meno quantitativi di acqua, per una produzione quadrupla. È un processo di coltivazione molto semplice, nel caso di Wakonda anche in regime biologico ma soprattutto molto più sostenibile rispetto alle coltivazioni classiche. L’opuntia cresce perfettamente anche sotto i pannelli solari, per cui su questi terreni è possibile implementare anche l’agrivoltaico. Infine, si può sfruttare non solo il buonissimo frutto per consumi alimentari ma anche le sue pale per alimentare impianti di biogas e produrre nuova energia: il potenziale energetico è di 50-80 m3 di biogas grezzo per ogni tonnellata di cladodi tal quali in funzione del loro contenuto di acqua.

“Il cuore della bioraffineria è l’impianto a biogas, che ci permette di raggiungere la piena circolarità -afferma il cto di Wakonda, Fabrizio Sibilla-. Oltre che generare energia, il recupero totale del calore viene integrato nei nostri cicli produttivi, con un approccio innovativo, che minimizza i costi di produzione”. 

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