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CLARA MOSCHINI

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Crisi dell'artigianato in Veneto: persi 37 mila lavoratori in 10 anni

Cgia Mestre: crollo dal 2012 per colpa di tasse e nuove abitudini di fare la spesa dei consumatori

Come in tutta Italia, anche in Veneto continua a diminuire costantemente il numero degli artigiani: negli ultimi 10 anni dal 2012 al 2022, infatti, sono scesi di 37.500 unità, un crollo del 19,1%. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Inps, nel 2022 nella regione si contavano 158.403 artigiani. 

Secondo l’analisi condotta dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre in tutto il Paese, e soprattutto in Veneto, si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare i pasticceri, i fornai, per esempio. "Non solo i giovani sono sempre meno interessati a lavorare in questo settore -sottolinea lo studio della Cgia-, ma anche chi ha esercitato la professione per tanti anni e non ha ancora raggiunto l’età anagrafica e/o maturato gli anni di contribuzione per beneficiare della pensione, spesso preferisce chiudere la partite iva e restare nel mercato del lavoro come dipendente che, rispetto ad un artigiano, ha sicuramente meno preoccupazioni e più sicurezze".

A livello provinciale le variazioni percentuali più negative hanno riguardato Belluno con -20,2%, Verona con -23,2% e, in particolar modo, Rovigo con -26,3%. Tra le sette province venete solo Treviso con -16% e Venezia con -16,5% hanno registrato delle contrazioni più contenute della media nazionale che, invece, si è attestata al -17,4%. In termini assoluti le perdite più significative hanno riguardato Vicenza con -6.756 unità Padova con -7.438 unità e, soprattutto, Verona con -8.821 unità.

Sono ormai ridotte al lumicino le botteghe artigiane che ospitano, tra gli altri, pellettieri, sarti, tappezzieri e le attività legate all'agroalimentare. Attività che, nella stragrande maggioranza dei casi erano a conduzione familiare. Per contro, i settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione sono quelli del benessere e dell’informatica. Purtroppo, sottolinea Cgia, l’aumento di queste attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell’artigianato storico.

Le cause della crisi? Presto detto. "Il forte aumento dell’età media, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse hanno spinto molti artigiani a gettare la spugna -spiega il report- I consumatori, inoltre, hanno cambiato il modo di fare gli acquisti: da qualche decennio hanno sposato la cultura dell’usa e getta, preferiscono il prodotto consegnato a domicilio".

Le saracinesche abbassate, aggiunge Cgia, sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. "Queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio". Le chiusure defintive rendono "meno vivibili e più insicure le zone urbane che le subiscono, penalizzando soprattutto gli anziani", una platea sempre più numerosa della popolazione italiana che conta più di 10 milioni di over 70. "Non disponendo spesso dell’auto e senza botteghe sottocasa -sottolinea lo studio-, per molti di loro fare la spesa è diventato un grosso problema".

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EFA News - European Food Agency
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