Garagnani (FdI) a EFA News: "Proteggere il made In Italy dalle logiche geopolitiche"
Il candidato alle Europee ritiene la bozza di riforma della Pac assolutamente insoddisfacente
Mancano ormai due mesi esatti alle Elezioni Europee. Una chiamata alle urne, in cui l'agricoltura avrà sicuramente un ruolo di primo piano, anche rispetto agli anni passati, visti anche gli scenari di protesta concretizzatisi in questi primi mesi del 2024. In tal senso la candidatura di Guglielmo Garagnani, oggi intervistato da EFA News, è sicuramente di grande interesse, in quanto coinvolge un addetto ai lavori. Classe 1971, laureato in Scienze Agrarie all’Università di Bologna, Garagnani è imprenditore agricolo dall’età di 24 anni. Dal 1995 conduce insieme alla famiglia la storica Tenuta Ca’ Selvatica in Valsamoggia (BO); è stato vicepresidente del Consorzio di bonifica Reno Palata, poi presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna (2009-2015). Nel 2017 ha assunto la carica di vicepresidente del Consorzio Parmigiano Reggiano e nel 2020 è stato eletto alla presidenza nazionale dell'Associazione Nazionale Bieticoltori. Alle elezioni europee dell'8-9 giugno, Garagnani correrà per Fratelli d'Italia. Di seguito, le domande poste dalla nostra Agenzia, e le risposte.
Dottor Garagnani, se sarà eletto, quale valore aggiunto porterà al Parlamento Europeo la sua esperienza professionale da imprenditore agroalimentare?
Grazie all'opportunità che mi è stata data, sicuramente vent'anni di competenza come attività associativa qualcosa mi lasciano, rispetto al linguaggio e alla conoscenza dei tavoli dove si prendono scelte normative regionali, nazionali ed europee. In questo grande progetto, l'obiettivo è quello di avere almeno un agricoltore dentro il Parlamento Europeo. Il mio profilo, dunque, è quello di un agricoltore, allevatore e produttore di Parmigiano Reggiano in una struttura cooperativa, cresciuto in una famiglia che fa questo lavoro da parecchie generazioni nel territorio a cavallo tra le province di Bologna e Modena, tra collina e montagna. Ho deciso di accettare questa grande sfida e mi auguro possano esserci anche altri candidati per farsi portavoce dell'agroalimentare per i prossimi cinque anni nell'ambito del Parlamento Europeo.
Soprattutto in seguito alle proteste degli agricoltori tra gennaio e febbraio, si è molto parlato della riforma della Pac: a che punto siamo e che contributo potrà dare la prossima legislatura dell'Europarlamento?
L'approccio di molti manifestanti (penso a quelli che bruciavano copertoni...) è stato sicuramente sbagliato. Ciò detto, che ne è scaturito finora è davvero di scarsissima soddisfazione rispetto al livello di marginalità economica in cui si versa il mondo agricolo, in particolare quello italiano. Siamo in attesa di sapere che tipo di risposta darà il Parlamento rispetto alla Commissione: che siano esentate dai controlli e dalle sanzioni le aziende sotto i dieci ettari va benissimo, sono un numero estremamente importante, però ne rimangono fuori molte altre. Che ci sia una la possibilità per gli Stati membri di modificare il proprio piano strategico con maggiore velocità va anche bene e speriamo che venga accolto. Dopodiché chiederemo all'Italia di agire per la riduzione della burocrazia, così come nei confronti di tutte quelle misure che oggi, attraverso gli ecoschemi, impongono azioni agronomiche che hanno veramente molto poco senso, generando soltanto una burocrazia intollerabile. Per gli agricoltori tutto questo è veramente molto poco. C'è bisogno di un definitivo cambiamento d'approccio da parte dell'Europa - Commissione, Parlamento e Consiglio - rispetto alle politiche agricole.
Un grande terreno di scontro ideologico è rappresentato dalla transizione ecologica: conciliare sostenibilità e produttività è una strada obbligata. In che modo?
Se si vuol mantenere, come speriamo, gli obiettivi di transizione ecologica e di sostenibilità ambientale che l'Europa si è voluta dare (e da cittadino europeo sono ben contento che questo avvenga), non si può non passare anche attraverso una corretta disponibilità di energie economiche e finanziarie. C'è un problema di budget, cioè ci sono troppi pochi soldi per l'agricoltura in Europa: saranno anche il 30-32% del budget, che equivale a 98 miliardi di euro, potrà sembrare una cifra enorme ma in realtà è nulla rispetto al Pil europeo (circa lo 0,4%). Invece, servono investimenti in tecnologie e in quei miglioramenti genetici che sono necessari e che richiedono anni per arrivare a quegli obiettivi di transizione ecologica, che saranno raggiungibili se e soltanto se si metteranno in campo tutti gli strumenti necessari a partire da quelli economici e finanziari, in modo da poter correggere la Pac.
C'è poi il tema della protezione del Made in Italy agroalimentare: in un'ottica europeista come si può raggiungere questo obiettivo?
Attraverso trattati che siano il più possibile multilaterali e il meno possibile bilaterali, come invece è avvenuto finora. I nostri prodotti necessitano di maggiori protezioni sui mercati internazionali, rispetto a materie prime o finite che possono avere caratteristiche tali da rendere non competitivi i nostri prodotti. Ciò chiama in causa il tema delle misure di controllo e delle competizioni sleali. Anche il tema delle indicazioni geografiche - che pure è forse quello che finora è stato affrontato meglio - va sensibilmente cambiato. E' un settore che va accompagnato da norme che garantiscano una distribuzione di valore generato da quel settore lungo la filiera o addirittura fino ai territori in cui quel prodotto viene realizzato. Il punto di forza è legato soprattutto al saper fare italiano, nel trasformare una determinata materia prima, per darle determinate connotazioni di modo da poter essere portata sui mercati nazionali e internazionali. Anche questo aspetto va sicuramente rafforzato.
Il protezionismo, avanzato in modo particolare nei confronti dei prodotti cerealicoli provenienti dalla Russia, dall'Ucraina o dalla Turchia, è una soluzione auspicabile?
Rispetto a questi prodotti, immagino possano esserci elementi che consentano di capire fin dove si possa arrivare con i principi liberali, che sono tipici del nostro continente, facendo entrare materie prime figlie di un mercato che molto spesso ha caratteristiche non naturali ma, piuttosto, dettate o dalla geopolitica (come appunto i recenti casi ucraino o russo) oppure da norme produttive non troppo stringenti in tema di rispetto dell'ambiente o del tessuto sociale con cui vengono prodotte. Al netto del giusto rispetto dell'industria che deve utilizzare la materia prima, per quanto ne ha bisogno, probabilmente bisognerà identificare dei limiti sotto i quali i prezzi non possono scendere. Una delle richieste che il mondo agricolo ha recentemente fatto all'Europa è quella di inserire il girasole ucraino nella lista di quei prodotti che non possono entrare a dazio zero in Europa, in quanto spazzerebbe via completamente i produttori di cereali di girasole europei: è una situazione che va per forza affrontata. Dovranno essere messi in moto dei provvedimenti: che si tratti di dazi o altro, andrà verificato, ma bisognerà capire quale può essere lo strumento migliore.
EFA News - European Food Agency