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CLARA MOSCHINI

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Macfrut. Vivaismo frutticolo: a che punto è la certificazione volontaria?

Se n’è discusso in una tavola rotonda presso il Salone Plant Nursery Area

Nell’ambito delle iniziative svoltesi all’interno del Salone del Vivaismo - Plant Nursery Area di Macfrut 2024, eventi coordinati da Stefano Lugli, la Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana (Soi) e Civi Italia (Centro interprofessionale per le attività vivaistiche) hanno organizzato una tavola rotonda dal titolo “Qvi – La certificazione volontaria del vivaismo frutticolo italiano: strumento di promozione o freno per la qualificazione delle produzioni vivaistiche?”. 

Al centro del focus la Qualità vivaistica Italia (Qvi), il livello di certificazione volontaria del materiale di propagazione vegetale delle piante da frutto prodotte in Italia, in relazione ai brevetti in un’ottica di crescita e valorizzazione delle filiere produttive nazionali. 
L’incontro è stato moderato da Stefano La Malfa, docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’Università di Catania e Presidente della sezione Frutticoltura della Soi.

Nell’introdurre i lavori La Malfa si è soffermato sul ruolo del vivaismo chiarendo come, sin dal titolo, il workshop avesse l’obiettivo di mettere in evidenza le potenzialità che la filiera vivaistica organizzata italiana ed europea esprime a vantaggio del comparto frutticolo e di come la certificazione volontaria, ed in particolare il marchio Qualità Vivaistica Italia (Qvi), di proprietà del Masaf, rappresenti un ulteriore elemento di garanzia a tutela degli imprenditori del settore. La Malfa ha chiarito come da parte del settore produttivo venga evidenziata l’esigenza dell’inserimento nei programmi di certificazione Qvi di quelle innovazioni varietali per le quali sono in corso le procedure per l’ottenimento della privativa.

A seguire gli interventi di Domenico Consalvo e Luigi Catalano, rispettivamente presidente e direttore di Civi-Italia. Entrambi hanno evidenziato come l’innovazione nel comparto del vivaismo frutticolo professionale è sinonimo della certificazione genetico-sanitaria delle produzioni vivaistiche e della protezione delle novità varietali attraverso le procedure comunitarie previste dalll'Ufficio Comunitario delle varietà vegetali (Cpvo). Sono queste le leve più potenti per il comparto vivaistico, che concorrono altresì a definire la professionalità dei suoi operatori.

“Lo schema di certificazione volontario nazionale Qvi annovera la registrazione di 1747 accessioni di varietà che rappresentano la base per lo sviluppo delle varietà così qualificate", sottolineano Consalvo e Catalano. Di queste, meno del 10% rappresentano varietà assoggettate a brevetti e privative (Pbr). La conseguenza è che innovazione varietale e percorsi di qualificazione attraverso la certificazione volontaria Qvi sembrano mal conciliarsi tra loro. Questo vale soprattutto per le drupacee – pesco, nettarine, ciliegio ed albicocche - che presentano un rapido rinnovo varietale grazie a nuovi genotipi costituiti dai molti programmi di breeding operanti a livello internazionale. Il melo registra grosse criticità, laddove le stazioni di valutazione del network Cpvo, hanno grandi ritardi nell’esamina di genotipi che invece mostrano chiare differenze fenotipiche negli ambienti dove sono stati selezionati. Si discostano da questo andamento le produzioni di piantine di fragola che sostanzialmente sono qualificate al più elevato diretto per la quasi totalità della produzione nazionale”.

Un tema centrale, dunque, rimane la celerità dei percorsi di valutazione. “I numeri delle produzioni certificate Qvi sarebbero di certo di gran lunga maggiori se le novità varietali proposte per la privativa comunitaria avessero un processo più celere di valutazione, anche con l’ausilio di test biomolecolari oggi disponibili", proseguono Consalvo e Catalano. "Le varietà per le quali non sono ancora terminati test Dus (Distinguibilità, Uniformità e Stabilità), pur con stato fitosanitario pienamente rispondente agli schemi di certificazione non possono essere così qualificate. L’attuale normativa comunitaria prevede la qualificazione attraverso i percorsi degli schemi di certificazione per le sole varietà iscritte ai registri ufficiali, compreso quelle che hanno ottenuto la privativa nazionale e/o comunitaria. Un intervento legislativo in tal senso ed una riorganizzazione delle stazioni che eseguono i test Dus andrebbero previste per dar forza e slancio ai programmi di certificazione volontaria, anche come strumento di prevenzione e diffusione di pericolosi agenti nocivi che si trasmettono con i materiali di propagazione vegetale”.

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