Pomodori: l'oro rosso della Sibilla
Al via la raccolta del Cannellino Flegreo. In attesa della certificazione dop
Pomodori, tempo di raccolta. Nella prolifica famiglia dei rossi campani, tra DOP (Piennolo del Vesuvio e San Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino) e ben 14 PAT (campano, cannellino di Pimonte, corbarino, giallo del Vesuvio, seccagno di Gesualdo, flegreo, di Sorrento, sarvatico, Re Umberto, fiaschello di Battipaglia, pelato di Napoli, guardiolo, dell’Ufita e di Rofrano) c’è qualcuno che sta faticosamente ri-conquistando il suo posto al sole. E’ il caso del pomodoro Cannellino Flegreo, ecotipo dei campi di fuoco, coltivato fin dall’800 nella zona di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida ed in alcune aree del parco archeologico di Cuma. Così chiamato per via dei tradizionali sostegni di canne impiantati per sostenere la pianta.
Che per pratiche colturali (interamente manuali) e tempi brevi di conservazione dei frutti ha rischiato l’estinzione. Fino al 2018: quando con la nascita dell’Associazione Pomodoro Cannellino Flegreo un gruppo di imprenditori non ha deciso di rilanciarlo. “Va detto subito, il nostro non è un ibrido ma una cultivar tipica di queste zone, i cui semi ci siamo tramandati per generazioni”, spiega Giovanni Tammaro, titolare dell’azienda vivaistica Cumadoro del Gruppo Tammaro e presidente di Confagricoltura Napoli.
“La Banca Regionale del Germoplasma ne ha poi censito i semi ufficialmente e ci ha consentito di riprodurre il cannellino in qualità di agricoltori custodi, nel rispetto di tutte le norme fitosanitarie. Le sue caratteristiche? 15/20 gr di peso, forma oblunga, via di mezzo tra un datterino (che invece è un ibrido!) e un San Marzano, polpa soda e giusto livello di acidità, con un grado Brix 6, più basso del 9 di alcune varietà molto dolci oggi in commercio, e buccia sottile. E poi il sapore, gustosissimo. Che dire? Sa veramente di pomodoro”.
Ma è proprio la delicatezza della buccia, croce e delizia del Cannellino, ad aver influito nel tempo sulla sua diffusione, rendendolo inadatto al trasporto nelle lunghe distanze e al consumo fresco, al contrario del Piennolo del Vesuvio che le sue schiocche, i celebri grappoli, arriva ormai ovunque. Peculiarità quella della buccia che però rende il Flegreo assai versatile in cucina, non necessitando di essere pelato, e ideale per succhi, passate e confetture grazie al suo perfetto equilibrio tra dolcezza, acidità e sapidità. Virtù queste che hanno spinto i produttori al suo rilancio, portando nell’ultimo quinquennio ad un’estensione di 50 ettari i campi coltivati (10 in più solo nell’ultimo anno), con una resa di 80 quintali ad ettaro, anche grazie ad azioni di riqualificazione urbana, previste nell’ambito del Progetto Monterusciello Agro City (MAC), finanziato dall’Unione Europea, e attivate dal Comune di Pozzuoli. Per non parlare dei campi Cumadoro all’interno del Parco Archeologico di Cuma, perfetto esempio di interazione tra tutela delle antichità e tradizioni agroalimentari.
Destinata al 50% alla catena di ristoranti Rossopomodoro, brand di punta del gruppo Sebeto, e per la restante a parte a celebri pizzerie locali (come quelle dei fratelli Salvo) e alla vendita aziendale, la produzione del cannellino flegreo punta ora a una sempre maggiore valorizzazione. “Al contrario dell’area vesuviana o ad altre zone della Campania, quella che manca nella zona flegrea è la cultura della trasformazione”, spiega ancora Tammaro. “Da qui ad un anno intendiamo infatti inaugurare dei nuovi laboratori. Occorre dare un valore aggiunto al prodotto, in modo tale da creare un circolo vizioso che invogli anche i più giovani a cimentarsi nelle coltivazioni. E non conta che entrino a far parte o meno dell’Associazione: l’importante che sempre più coltivatori siano messi nelle condizioni di produrlo”.
Tra gli obiettivi prossimi anche il perseguimento della certificazione DOP, per la quale Confagricoltura Napoli ha avviato, tramite un apposito comitato, la procedura per il riconoscimento.
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