Brio: quando il biologico regge in tempi di crisi
Il direttore commerciale Mauro Laghi spiega la resilienza dell'azienda
Il biologico è un settore in chiaroscuro: aumentano le superfici coltivate (leggi notizia EFA News), controbilanciate, però, da un calo dei volumi (leggi notizia EFA News). Eppure, anche in tempi di vacche magre, Brio, società del Gruppo Alegra, ha concluso il proprio bilancio 2023/2024 (aggiornato al 30 giugno scorso, come è la prassi per il settore ortofrutticolo) con 56 milioni di fatturato e una crescita dell’11% sull’anno precedente (leggi notizia EFA News).
Nato nel 2003, sede a Faenza, il Gruppo Alegra raggruppa oltre 3000 cooperative e imprese agricole italiane. Da anni, il gruppo ha optato per il biologico, perché, si legge sul profilo LinkedIn "crediamo nell’importanza di preservare la biodiversità e la natura all’interno di un modello sostenibile, che garantisca al produttore la giusta remunerazione per il proprio lavoro e che offra al consumatore la massima qualità".
Quali sono le ragioni di tale dato in controtendenza? A riguardo, EFA News ha intervistato Mauro Laghi, direttore commerciale di Brio, che ammette: “Questi risultati hanno stupito anche noi”. Nell’impresa, tuttavia, anche i ‘miracoli’ hanno un fondamento razionale, nel caso specifico rintracciabile, secondo Laghi, in una “continuità delle forniture che ovviamente ci premia sul mercato”. Risultato: proprio quando si riscontrano difficoltà a livello produttivo nella filiera del ‘bio’, il Gruppo Alegra dà il meglio di sé. Al contrario, ammette il direttore, “paradossalmente si fa più fatica nelle annate di abbondanza, in cui qualunque produttore arriva sul mercato a offrire il prodotto”.
Il ruolo di Brio, tuttavia, va oltre la produzione e sta soprattutto nel “controllare la filiera e garantire continuità e che quello che viene presentato come biologico, sia biologico realmente”. Una tutela per il consumatore da contraffazioni e storture alle quali il settore, purtroppo, non è del tutto immune.
Un vero asso nella manica di Brio, secondo Laghi, è comunque la sua forza sui mercati esteri, con un export che copre il 50% del fatturato. Il primo mercato, in ogni caso, è la Germania, seguita da Svizzera, Austria e Danimarca. Al contempo, aggiunge Laghi, “stiamo facendo un buon lavoro anche con alcuni Paesi del dell'Est Europa come Romania, Repubblica Ceca, Polonia, Croazia, Slovenia: tutti mercati che pian piano stanno crescendo anche sul fronte del dei prodotti biologici”. Inoltre, storicamente la Scandinavia è stata un punto di forza per Brio, tuttavia “oggi è forse uno dei mercati che sta di più sta soffrendo proprio perché è cresciuto molto in passato”.
Brio è partner di Alce Nero e anche questo sodalizio commerciale sta pagando, in quanto, proprio in un momento di difficoltà, i consumatori più fedeli di questo comparto propendono per “un marchio che è garanzia di tutto ciò che noi mettiamo nella nostra fornitura”, sottolinea Laghi, “quindi per un prodotto che corrisponde ai requisiti richiesti: di qualità, certificato, senza deroghe e senza sotterfugi”. Questo brand “sta andando piuttosto bene, soprattutto nel Centro-Sud e questa tendenza è sicuramente un segnale positivo perché sta contribuendo anche a far crescere queste aree, che sono arrivate più tardi sul mercato del biologico. Tante volte si affianca alla marca della catena del distributore senza volerla sostituire, con confezioni diverse e con un livello diverso di qualità di prodotto, proponendo quindi una gamma complementare a quella già presente nel punto vendita”.
Chiediamo al direttore commerciale di Brio, se il business dell’azienda stia risentendo – direttamente o indirettamente – della crisi climatica che affligge una larga parte della filiera frutticola. “Quando parliamo di natura, al riparo non si è mai veramente”, osserva il manager. “Noi facciamo di tutto anche rafforzando i nostri fornitori, i nostri produttori e soci, aiutandoli anche con le innovazioni tecniche che possono portare a superare o difendersi dalle avversità climatiche. È ovvio che, parlando in generale, oggi quello che si sta vedendo dell'ortofrutta è che la sfida sta diventando non quella di collocare il prodotto, ma quella di riuscire a produrre, perché, anche in annate dove la produzione c'è, quello che aumenta sempre notevolmente è la quantità di frutta e verdura che non ha le caratteristiche per andare sul mercato del fresco, perché è stata danneggiata da grandine, da vento, da insetti”.
Ci sono, poi, determinati comparti, come, ad esempio quello della pera o della carota, che “sono quasi improponibili nel biologico”, poiché i quantitativi particolarmente bassi che si possono ottenere, di prodotto idoneo al consumo fresco, li rendono “anti-economici” per i produttori. “Abbiamo fatto la scelta di non fornire il prodotto quando non aveva le caratteristiche idonee. Credo che questa decisione, alla lunga, pagherà: anche se sul momento puoi perdere un po’ di fatturato, il cliente resta ed è consapevole che non si può avere tutto, specie se si parla di biologico. Se si vuole anche rispettare di più l'ambiente, bisogna ritornare a fare delle scelte di consumo un po’ più consapevole. Su questo stiamo lavorando ugualmente a livello informativo. Non è una sfida facile perché la nostra società ci ha abituato a volere sempre tutto quando ne abbiamo voglia”, conclude Laghi.
EFA News - European Food Agency