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CLARA MOSCHINI

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Elezioni Usa, vince "Tariff man" e il mondo dell'alcol trema

I titoli del settore crollano in borsa sui timori di dazi che Donald Trump potrebbe applicare agli alcolici

La 60esima tornata elettorale statunitense è andata in archivio con la vittoria di Donald Trump, e adesso lo spettro di "Tariff man", l'uomo dei dazi, incombe. Soprattutto sull'industria degli alcolici. La prospettiva di una guerra tariffaria che venga scatenata da Trump preoccupa tutti gli operatori del settore, anche perché il neopresidente sale al "trono" per la seconda volta agitando la minaccia, neanche tanto velata, di voler regolare vecchi conti in sospeso. Tra i settori più preoccupati, secondo gli esperti ci sono le multinazionali del settore degli alcolici, soprattutto quelle che dipendono dagli Stati Uniti per una fetta consistente dei loro ricavi e profitti.

Lo scenario è al centro di una nota analitica di Bernstein, uno dei più grandi istituti di ricerca finanziaria del mondo, che ha rilanciato il soprannome di Trump come appunto 'Tariff man', facendo riferimento alla sua dichiarata intenzione di imporre una tariffa generalizzata del 10% su tutte le importazioni negli Stati Uniti, oltre a una potenziale tariffa del 60% sulle importazioni dalla Cina. Anche il Messico potrebbe subire una punizione extra, grazie al suo deficit commerciale bilaterale con gli Stati Uniti: in questo senso, com'e ovvio, l'impatto sul boom della tequila, già in fase di raffreddamento, potrebbe essere preoccupante, sempre a detta degli analisti.

La prima conclusione da trarre con Trump di nuovo presidente, secondo gli esperti, è che più affari si fanno negli Stati Uniti, più si è esposti a questa minaccia tariffaria. In quest'ottica, l'elenco dei big dell'alcol per bevande, a parte alcuni produttori di birra, è scarno, mentre quelli che vendono prodotti nazionali (birra, bourbon, vodka, ecc.) possono dormire sonni tranquilli. Forse. 

Tra i potenziali "perdenti" di Bernstein nel settore degli alcolici c'è Constellation Brands, che non solo ricava quasi tutte le sue entrate dagli Stati Uniti, ma deve anche importare moltissimi prodotti, soprattutto birra dal Messico. Non a caso, il titolo oggi sta lasciato sul terreno in Borsa a Wall Street il 4% del suo valore, preoccupato dalle potenziali ripercussioni che la nuova elezione potrebbe avere. Altre aziende del settore potenzialmente in difficoltà sono Rémy Cointreau per il cognac, che ha perso il 4,5% in Borsa oggi, Diageo per lo scotch e la Tequila (-2,5% in Borsa). Trema in misura minore Campari che conta sull'aiuto di Wild Turkey e Skyy, entrambi prodotti negli Stati Uniti: eppure, ha perso il 4,78% a Piazza Affari. Preoccupata anche Pernod Ricard, più orientata verso l'Asia che comunque ha perso il 3,3% mentre è decisamente meno spaventata per il momento Moët Hennessy, cioè LVMH che, infatti, ha perso oggi solo uno scarno 0,4%.

As essere più vulnerabili sono secondo gli analisti i prodotti con un luogo d'origine designato e legalmente imposto: ciò significa in particolare scotch, whisky irlandesi e di altro tipo (soprattutto se si considera la concorrenza del bourbon e di altri whisky statunitensi) ma anche cognac, champagne, tequila. A seconda di come vengono applicate le tariffe, l'aumento dei prezzi necessario per assorbire i costi aggiuntivi potrebbe essere inferiore al previsto: il 4,5% è la cifra citata dagli analisti Considerate le tensioni che hanno afflitto il mercato statunitense nell'ultimo anno o due, cercare di spingere un aumento dei prezzi del 4,5% sembra comunque un traguardo ambizioso. 

La nota di Bernstein parla anche dei vincitori relativi: Anheuser-Busch InBev (-2-26% in Borsa) e Molson Coors (uno dei pochi titoli positivi oggi con un +0,7% in corso di trattazioni a Wall Street) tra i produttori di birra mentre Brown-Forman (che oggi sta crollando del 6,22%) rileva tra i produttori di alcolici. Tutti questiono marchi che non è detto che se la caveranno: quello che viene già chiamato il "banchetto dei dazi" di Trump, una volta iniziato, potrebbe provocare una reazione a catena internazionale.

La domanda da porsi logicamente è: ma se scattano i dazi, Cina, Regno Unito, UE, forse il Messico se ne staranno con le mani in mano a subire? Vedremo. Anche perché a questo scenario abbastanza nero se ne contrappone un altro, per il mondo dell'alcol, decisamente più pessimistico ancora: quasi a prescindere da Trump infatti, stiamo assistendo al graduale ritorno di un ambiente commerciale più protezionistico in tutto il mondo, che agisce come una controreplica a decenni di pensiero del libero mercato e di globalizzazione. 

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