Con Trump il made in Italy è a rischio?
Prometeia: in caso di dazi i costi aggiuntivi per i prodotti italiani vanno da 4 a 7 miliardi di dollari
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca come 47° presidente degli Stati Uniti sta agitando gli animi soprattutto in Italia dove l'economia, il made in Italy agroalimentare in primis, si sente "a rischio dazi", quelli che Trump va sbandierando da tempo (leggi EFA News). A far luce sulle prospettive arriva un'indagine di Prometeia a cura di Claudio Colacurcio e Carmela Di Terlizzi che mette in chiaro quali siano gli scenari possibili con in nuovo presidente Usa.
La premessa è che "durante i comizi elettorali Trump ha promesso che applicherà un dazio del 10% su tutte le importazioni americane e del 60% per le merci provenienti dalla Cina" per "proteggere le industrie nazionali e ridurre le tasse sui redditi da lavoro, sostituendo queste entrate con quelle legati ai dazi". La strada, secondo Prometeia, risulta "impraticabile" per diversi motivi, a partire dal fatto che risulta difficile pensare che, a quel punto, "gli oltre 2 mila miliardi di dollari esportati dagli Stati Uniti (e quindi produzione made in Usa) non subirebbero ritorsioni dai partner esteri vessati dall’aumento al 10% di dazi che oggi pesano appena l’1,5% dell’import nel mercato".
Per non parlare, poi, "dell'anomalia" che si verrebbe a instaurare con l’applicazione di tariffe “across-the-board” (quindi uniformi) tra tutti i prodotti: qualcosa che, sottolinea Prometeia, "contraddice l’idea di una politica commerciale modulata sugli interessi nazionali, necessariamente diversi tra settori. Inoltre -sottolinea lo studio- già oggi quasi 500 prodotti (dallo yogurt, alla cristalleria, dall’abbigliamento ai veicoli per il trasporto merci) su circa 5.600 del sistema armonizzato a sei cifre fronteggiano dazi superiori al 10%".
Per cui, ecco che l'istituto di ricerca, cerca di tracciare i possibili nuovi scenari, "declinati in un aumento di 10 punti percentuali dei dazi, rispetto al troppo semplicistico 10% across-the-board, al fine di cogliere quella che sarebbe la perdita attesa per un paese come l’Italia che, da ormai un biennio, ha stabilmente negli Stati Uniti il secondo mercato di esportazione dopo la Germania".
La simulazione di Prometeia elabora due scenari: il primo scenario ipotizza un aumento di 10 punti percentuali solo sui prodotti che già sono sottoposti a dazi, il secondo scenario simula invece un aumento tariffario generalizzato di 10 punti.
Ebbene, per quanto riguarda l'Italia, "partendo da un valore di dazi fronteggiati pari a quasi 2 miliardi di dollari nel 2023 (il 2,5% di quanto esportato negli Stati Uniti), per il nostro Paese il costo aggiuntivo del nuovo protezionismo americano sarebbe di oltre 4 miliardi di dollari, in un range da 2 a 6 miliardi, nel primo scenario quello degli aumenti selettivi e oltre 7 (da 2 a 9 miliardi) nel caso di aumenti generalizzati. In termini assoluti gli impatti sarebbero superiori per la Germania (quasi 10 miliardi nel primo scenario e oltre 17,8 miliardi nel secondo), oggi primo esportatore europeo, e inferiori per Francia (quasi 3 miliardi nel primo scenario e 6,3 miliardi nel secondo) e Spagna (1,8 miliardi nel primo scenario, 2,8 miliardi nel secondo)".
EFA News - European Food Agency