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CLARA MOSCHINI

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Lavoro, aumentano gli occupati ma anche i poveri

Legacoop-Prometeia, rispetto al 2019 +65% nei servizi: saldo negativo di 99 mila unità per l’agricoltura

Nonostante i quattro anni passati, segnati da pandemia, guerra, inflazione e rialzi dei tassi di interesse, il mercato del lavoro italiano ha raggiunto livelli di massimo con riferimento a molti indicatori. Rispetto alla fine del 2019, l’occupazione è cresciuta di 1 milione e 262 mila unità di lavoro, in rialzo del 5.4%, raggiungendo i massimi storici. 

È quanto emerge dal Monitor “L’occupazione aumenta, ma aumenta anche la povertà”, realizzato da Area Studi Legacoop e Prometeia secondo cui l’incremento maggiore è quello segnato dai servizi, con 817mila unità in più, in rialzo del 65%, mentre poco meno di un terzo dell’incremento complessivo è imputabile alle costruzioni, con 366 mila unità in più (+29%), destinato in larga misura a rientrare con il termine del Superbonus. Seguono la P.A. con 102 mila unità in più e l’industria in senso stretto con 76 mila: saldo negativo di 99 mila unità, invece, per l’agricoltura.

A fronte di questi indicatori positivi, l’analisi di Area Studi Legacoop e Prometeia evidenzia però come la crisi inflazionistica abbia tagliato il potere di acquisto dei salari in tutti i settori, colpendo maggiormente i lavoratori nelle costruzioni, senza che il recupero osservato nel 2023 abbia consentito di recuperare i livelli pre-crisi. Le retribuzioni pro-capite in termini reali sono infatti ancora inferiori ai livelli di fine 2019: -5% nelle costruzioni, -4,2% nei servizi privati e -2,5% nell’industria in senso stretto.

Altro indicatore che segna un peggioramento è quello della percentuale delle persone in povertà assoluta, che risulta in crescita in tutte le aree del Paese. A livello nazionale, l’indicatore è cresciuto del 2,1%, dal 7,6% nel 2019 al 9,7% nel 2023. Tra il 2022 e il 2023, l’incidenza di poveri assoluti è rimasta invariata, ma è cambiata la composizione tra le aree del paese, in particolare a scapito del Nord e del Centro dove il valore è aumentato di 0.4 punti percentuali (rispettivamente, dall’8.5% all’8,9% e dal 7,5% al 7,9%) e, invece, a favore del Mezzogiorno dove si è ridotto di 0,6 punti percentuali. 

“Il ciclo aperto all’indomani della pandemia è finito -spiega Simone Gamberini, presidente di Legacoop-. Lascia in eredità una situazione a chiaroscuri con molti tratti inediti. Da un lato, il costante rallentamento dell’economia ci ha condotto alla stagnazione, sotto la pressione dei costi delle materie prime, dell’energia, dell’inflazione, dei tassi di interesse, della carenza di manodopera e del crescente carovita. Oggi, dopo una lunga e inesorabile caduta, la situazione dell’industria e del manifatturiero, in particolare, fanno presagire addirittura segni di recessione; ma, dall’altra parte, questo triennio ha segnato anche aspetti positivi, per certi versi sorprendenti. Innanzitutto, che il nostro sistema produttivo è vitale, reattivo e, a differenza di altri, negli anni scorsi ha investito in innovazione e si è aggiornato più di quanto ci si aspettasse". 

"Il balzo post-pandemico in questo senso -aggiunge Gamberini- ha sorpreso tutti, ha coinvolto il Mezzogiorno, ha sostenuto una crescita dell’occupazione record, e permesso pure di soddisfare un perdurante alto livello della domanda, si può dire contro tutto e tutti. Ecco, se avessimo imparato la lezione, oggi non saremmo a parlare di imminenti politiche restrittive, ma di sostegno a un ciclo di investimenti pubblici e privati secondo un piano di crescita che allontani questo paese e questo continente dalle percentuali da zero virgola a cui lo si vuole costringere. È questa la via per tornare a far crescere produttività e retribuzioni, per eliminare il lavoro povero, per includere chi è scivolato sotto la inaccettabile soglia di povertà. Dobbiamo unificare il Paese nello sviluppo, non nella stagnazione”.

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