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CLARA MOSCHINI

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Rinnovabili. Troppa confusione sul fotovoltaico in agricoltura

Alessandro Rocca (ad Resit): "Una grande chance per l'Italia, ancora tutta da giocare"

Per il raggiungimento, nei prossimi dieci anni, degli obiettivi assegnati dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) e dai piani della Comunità europea basterebbe l’1% dei terreni in questione.

Crescono le incertezze sullo sviluppo del fotovoltaico in Italia, tra stop (vedi il blocco dei progetti degli impianti sardi in questo articolo di EFA News) e tentativi di riordino legislativo. E' notizia di ieri il via libera del Consiglio di Ministri al Testo unico che punta ad accelerare gli iter autorizzativi. Il governo vuole semplificare e riordinare la frastagliata normativa che regola la realizzazione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti green. Ma lo stesso governo la promosso il cosiddetto "decreto agricoltura", che ha creato non poca confusione, vietando quasi del tutto la realizzazione di impianti sui terreni agricoli. 

Ma il fotovoltaico sottrae veramente terreni all’agricoltura? Come spiega Alessandro Rocca, responsabile di Italia Solare del Lazio, "il settore fotovoltaico è in forte espansione, a dimostrarlo sono i recenti dati diffusi da Terna, secondo i quali nei primi sei mesi del 2024, per la prima volta, la produzione di elettricità in Italia da fonti rinnovabili ha superato quella da fonti fossili, con un + 27,3% rispetto al primo semestre 2023. Produzione rinnovabile, che vede al secondo posto, dopo l’idroelettrico (+64,8%), fotovoltaico ed eolico, settori che hanno registrato complessivamente un +14,6%. Nonostante queste performance eccezionali, le fakenews continuano a diffondersi, creando dubbi e disinformazione, specie nel settore agricolo".

Rocca, che è ad della Resit (società romana attiva da più di 25 anni nella realizzazione di impianti a forte rinnovabile, e della quale è rappresentante legale suo padre Ugo Vittorio) si riferisce alle conseguenze della Legge n. 101 del 12 luglio 2024,  che vieta l’installazione, tranne in alcuni casi, di nuovi impianti fotovoltaici con moduli a terra o l’implementazione di quelli già esistenti su terreni agricoli e coltivabili. Disposizione che invece non si applica agli impianti agrovoltaici e cioè quei pannelli solari installati su supporti elevati che permettono la coltivazione dei terreni sottostanti.

“Su circa 25.000 ettari di terreni agricoli sono stati costruiti in 40 anni impianti pari a 15.000 MW di potenza”, spiega Ugo Vittorio Rocca, noto anche per aver pubblicato il libro “Breve storia delle energie rinnovabili in Italia”  (Gangemi Editore). “Un appezzamento piccolissimo, se guardiamo la cartina del Paese. Al contrario, ogni anno vengono ricoperti di asfalto e calcestruzzo ben 60.000 ettari di superficie. Potranno mai essere un problema questi 25.000 ettari in 40 anni?”. 

“Secondo i più recenti dati Istat”, aggiunge Alessandro Rocca, “la superficie agricola totale in Italia (SAT) è pari a 17,5 milioni di ettari, mentre la superficie agricola utilizzata (SAU) misura 12,8 milioni di ettari. Ciò significa che la differenza, e cioè 5 milioni di ettari, rappresenta un’enormità di terreni definiti agricoli catastalmente ma che di fatto non lo sono o non sono comunque utilizzabili in agricoltura. Per il raggiungimento, nei prossimi dieci anni, degli obiettivi assegnati dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) e dai piani della Comunità europea basterebbe l’1% dei terreni in questione. Se i terreni non sono utilizzabii non ha senso escludere l’installazione di nuovi impianti: si possono infatti costruire 100 GW (Gigawatt) fotovoltaici senza sacrificare terreni agricoli produttivi di qualità”. 

Né, prosegue l’ad, ha senso insistere troppo sull’agrovoltaico. “Puntare sull’agrovoltaico può essere interessante su terreni produttivi, per tutelare le colture e per sfruttare al meglio il doppio utilizzo degli appezzamenti. Ma perché prediligere questi impianti se il terreno è una pietraia marginale?”. Il tutto nel rispetto dei Piani paesaggistici regionali (PPR). “Le aziende del settore sono da già abituate da tempo ad intervenire solo su aree prive di vincoli ambientali, paesaggistici e urbanistici”, conclude Rocca. “E’ buona prassi infatti procedere, prima dello sviluppo di un progetto, ad un’attenta e puntuale relazione agronomica, in ossequio alla Carta della capacità d'uso dei suoli (LCC Land Capability Classification)”.

red - 45919

EFA News - European Food Agency
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